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    GIOCHIAMO ALLA GUERRA? – ALL’ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE IDEX AD ABU DHABI, LA RUSSIA PRESENTA  LA SUA ULTIMA ARMA LETALE: IL KUB-BLA, IL DRONE “KAMIKAZE”, CAPACE DI TRASPORTARE ESPLOSIVO VERSO UN BERSAGLIO DI TERRA E COLPIRLO CON PRECISIONE. L’APPARECCHIO RAGGIUNGE UNA VELOCITÀ DI 130 KM/H E HA UN’AUTONOMIA DI 30 MINUTI - MOSCA SEMBRAVA LONTANA DALL’INTENZIONE DI COSTRUIRLI, MA SI È DOVUTA RICREDERE QUANDO…


     
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    Marco Pizzorno per "it.insideover.com"

     

    kub bla, droni kamikaze russi 6 kub bla, droni kamikaze russi 6

    Alcune operazioni di warfare condotte da remoto hanno sviluppato forme innovative di attacco e difesa attraverso un nuovo sistema di quello che in Russia hanno definito “intelligent, multitasking weapon”. Sebbene Israele previde l’insidiosità di quest’arma già negli anni Novanta, quello che oggi è inquadrato dal Comando Usa come “munizione volante” potrebbe risultare l’armamento letale più importante nelle guerre future.

     

    Kub-Bla, il drone kamikaze

    La risposta di Mosca nel campo dei lethal autonomous weapon systems, detti LAWS, vede l’impegno di uno dei maggiori complessi industriali militari, leader nel settore delle armi leggere, che è la JSC Kalashnikov Concern. Tra le controllate del colosso russo vi è la Zala Aero Group, specializzata nella produzione di velivoli senza pilota e che ha dato la luce al super drone-kamikaze di Mosca.

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    Soprannominato da molte testate “il terrorista”, il Kub-Bla è stato presentato all’esposizione internazionale IDEX ad Abu Dhabi, avendo superato con successo tutti i test previsti per il dispiegamento in teatro di guerra. Come riporta Sputnik, l’obbiettivo del consorzio Kalashnikov era quello di costruire un apparecchio capace di trasportare esplosivo verso un bersaglio di terra e colpirlo con precisione.

     

    Il National Interest spiega che questo armamento è in realtà una soluzione tecnica ad un problema secolare, ovvero concretizza la possibilità di poter colpire un nemico nascosto dietro le montagne ed inviare posizioni, coordinate ed immagini al comando di provenienza. Sebbene le schede tecniche sembrino dettagliare capacità maggiori di quelle riportate dai media, sempre Sputnik indica che tale apparecchio raggiunga una velocità che si aggira tra gli 80 a 130 chilometri all’ora con un’autonomia di circa 30 minuti.

     

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    Le caratteristiche del software sono dotate sia d’impostazioni manuali che d’intelligenza autonoma capace di riconoscere e colpire l’obbiettivo anche mediante il solo inserimento di un’immagine. È doveroso ricordare però che la ricerca e lo sviluppo tecnologico russo si erano già spinti molto avanti in materia di sistemi d’arma autonome, raggiungendo livelli elevati. Sembrerebbe infatti che lo Zhukovsky Military Research Center avesse già lavorato anche su un altro micidiale progetto riguardante i droni.

     

    Questo sistema denominato Flock-93, si basava sulla costituzione di stormi di droni teleguidati da un altro drone pilota. L’intelligenza artificiale applicata a quest’armamento prevedeva addirittura che qualora il drone guida fosse stato abbattuto, il sistema lo avrebbe sostituito con un altro che diveniva il nuovo capo-stormo, avente capacità di condurre un attacco collettivo fino alla distruzione dell’obbiettivo.

     

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    Perché Mosca ha costruito droni-kamikaze?

    Mosca sembrava lontana dall’intenzione di costruire questo tipo di armi, come infatti affermava nel 2016 Vadim Kozyulim, direttore del progetto delle tecnologie emergenti e della sicurezza globale presso il Centro PIR. Quest’ultimo, proprio in una riunione sulle implicazioni dei sistemi d’arma autonomi, dichiarò che la Russia non aveva droni armati e che la condizione di sviluppo tecnico sulla questione era addirittura 15 anni indietro rispetto ai loro omologhi americani. Ed effettivamente gli Stati Uniti avevano già sviluppato lo Switchblade e testato da tempo la sua operatività.

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    Il Cremlino però dovette correre ai ripari per “equipararsi” e costruire tali tipologie d’armamento in quanto lo scenario di guerra ad Idlib riservò non poche sorprese. Nel 2017, infatti, durante uno stallo dei sistemi di difesa radioelettrica all’interno della base aeronautica di Khmeimim, droni ribelli riuscirono a penetrare nello spazio russo cogliendo di sorpresa le forze speciali russe.

    Successivamente, durante la vigilia di capodanno del 2018, la Russia subì il primo micidiale attacco collettivo da parte di otto droni ed il 5 gennaio altri 13 droni si catapultarono congiuntamente contro le basi di Tartus e la stessa Khmeimim. Infine, nel 2019 Mosca registrò addirittura sessanta attacchi, alcuni dei quali sventati dal sistema di difesa elettromagnetica Pantsir.

     

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    Dall’analisi “The Revolution in Drone Warefare” risulta evidente come la Russia abbia appreso quanto i droni, all’interno di un conflitto, svolgano un ruolo chiave per la distruzione delle infrastrutture strategiche nelle retrovie del nemico.

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    In virtù di ciò, si concretizza sempre più l’ipotesi che proprio a causa dei numerosi attacchi subiti, i russi abbiano ritenuto opportuno procedere a sviluppare la produzione dei sistemi d’arma Laws, scrivendo nel contempo pagine fondamentali anche nella letteratura della ”trasformazione dei conflitti” e nella guerra elettromagnetica.

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