Francesco Bei per “la Repbublica”
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Il giorno dopo lo show down a via Bellerio - il primo vero confronto interno alla Lega dopo la sconfitta alle amministrative - Giancarlo Giorgetti è volato ad Ankara con Mario Draghi per il vertice con Erdogan e mezzo governo turco. Aerei diversi, poi chissà se c'è stato il tempo di approfondire con il premier la situazione di "pre-crisi" che nel frattempo stava deflagrando a Roma. Eppure Giorgetti, il leghista più vicino a Draghi, prima di partire aveva lanciato un avviso chiaro a tutti i naviganti, a partire da quei «rivoluzionari della scuola Radio Elettra» (in privato ha preso a chiamarli così) che spingono Salvini a rompere con il governo.
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Nell'intervento a braccio fatto ieri mattina davanti agli assicuratori di Ania, il ministro aveva mandato il suo warning: «È un momento molto particolare, di incertezza, che travaglia imprese e famiglie. A queste bisogna restituire un minimo di garanzie». E ancora, parlando a nuora perché suocera intenda: «Occorre saper cogliere il senso storico del momento. Ed essere all'altezza». Esattamente il contrario cioè di quella rotta sfascia-tutto verso cui il "cerchio magico" salviniano - l'irrefrenabile Claudio Borghi insieme a tanti altri - sta indirizzando la corazzata leghista.
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Giorgetti non ce l'ha con il segretario, anzi tende a separarlo da coloro che lo consigliano per il tanto peggio tanto meglio. «Matteo - dice in queste ore a chi lo raggiunge per saggiarne l'umore - è decisamente avanti rispetto a tanti altri che lo circondano». Sa tuttavia che la politica ha le sue regole e ha paura che Salvini possa cedere al richiamo della foresta.
Se una volta la regola del Pci era pas d'ennemis à gauche , per una parte della Lega in questi anni la norma è stata la continua rincorsa del populismo, fosse quello a cinque stelle oppure quello sovranista di Fratelli d'Italia. Mai farsi scavalcare.
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Così il salire dello scontro tra Giuseppe Conte e Mario Draghi ha provocato una speculare tensione tra la Lega e il governo, come testimoniato dalla giornata di ieri. Mentre l'ala barricadera della Lega spinge per rompere subito, mettendosi in scia con i grillini, la tesi di Giorgetti è opposta. Dovrebbe essere proprio il Carroccio il più coerente nel puntellare il governo dell'ex presidente della Bce, per raccogliere finalmente i frutti di questa «scelta di responsabilità».
Invece il ministro ha la sgradevole sensazione che il suo partito si vergogni dell'appartenenza al gabinetto Draghi e non rivendichi mai con orgoglio i provvedimenti conquistati. Cose concrete, come gli incentivi alla filiera dell'automotive, la cabina per gli investimenti che permette il re-shoring, ovvero il ritorno delle produzioni in Italia, il potenziamento dei contratti di sviluppo che, saltando mille pastoie burocratiche, adesso permettono di realizzare progetti innovativi con aziende importanti. Tutto questo e tanto altro (le mille cose fatte passare in Consiglio dei ministri) non è mai finito nella comunicazione leghista.
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Nasce anche da qui il malessere di Giorgetti, che due giorni fa è sfociato nel redde rationem a porte chiuse con l'ala dei Borghi&Bagnai. Toni accesi, sguardi duri. Un clima molto diverso dalla parte recitata di fronte alle telecamere dallo stesso Giorgetti all'uscita da via Bellerio. «La politica non è filosofia, è l'arte del possibile. Se volete fare la rivoluzione, auguri».
E ancora, rispondendo alle critiche sull'eccesso di pragmatismo: «Io parlo in un certo modo. Se vi fa schifo, se non serve e pensate non sia utile, amen. Tolgo il disturbo ». A quel punto, di fronte a una platea ammutolita e spaventata dalla possibilità che la riunione potesse concludersi con le dimissioni del ministro più prestigioso della Lega, Giorgetti ha piazzato l'ultima mina: «Voi pensate che io sia parte del problema. Alle mie spalle mi accusate di essere una sorta di incrocio fra Rasputin e Andreotti. Benissimo, basta che lo diciate.
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Mi è già successo in passato con Umberto Bossi di non essere considerato "in linea": sono stato a casa qualche mese e mi sono riposato. Che problema c'è?». Un fiume in piena, Giorgetti: «E gli alleati del centrodestra? Forza Italia e centristi, ci avete pensato? Sono tutte merde? Ma che dite? Come pensate di avere la maggioranza dopo le elezioni, con Conte e Letta?». La reazione a queste parole è stata di gelo assoluto, occhi persi, sguardi in alto per non incrociare quelli del ministro, mentre Salvini, a centro del tavolo, increspava le labbra in un impercettibile sorriso.
Che a Giorgetti è parso nascondere un moto di soddisfazione del segretario per la sfuriata contro «i rivoluzionari della scuola Radio Elettra», quasi fosse sollevato dal fatto che finalmente qualcuno li obbligasse a un confronto brutale con la realtà. E la "realtà", nel mondo del ministro, è fatta di una situazione di crisi impressionante, a cui la politica è chiamata a far fronte. I cittadini, «vanno rassicurati, non spaventati, agitando paure e pericoli inesistenti».
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Ci sono invece situazioni reali a cui dare risposte: l'inflazione, i salari al palo, i mercati impazziti. Ce n'è abbastanza per far sbandare Paesi molto più solidi del nostro, figuriamoci l'Italia. Per questo, ora, l'ultima cosa da fare è aggiungere l'instabilità politica all'instabilità economica e finanziaria che stiamo subendo.
E se i Cinque Stelle andranno avanti nella loro strategia di sganciamento, per Giorgetti la Lega dovrebbe comportarsi in maniera opposta: essere l'ultimo baluardo a difesa del premier e del governo. Contro i grillini, ma anche contro il Pd che «prova a piantare le sue bandiere come lo ius scholae e la cannabis, sapendo benissimo che non andranno da nessuna parte». Chissà se nella Lega gli daranno ascolto. Giorgetti tuttavia è convinto che, stavolta, nessuno potrà dire di non aver capito.