Marco Imarisio per il Corriere della Sera
jannik sinner a wimbledon durante la partita con djokovic 1
Alla fine del secondo set abbiamo pensato tutti la stessa cosa. Due luglio 2001, il quasi ventenne Roger Federer batte un Pete Sampras, che cerca il suo quinto Wimbledon consecutivo. La consacrazione, il cambio di stagione. Il cammino del tennis è lastricato da passaggi di consegne.
Presi dall'entusiasmo, ci siamo dimenticati di un piccolo dettaglio. Novak Djokovic è ben oltre l'ultimo grande campione americano, è qualcosa di unico, che fa corsa e storia a sé. Anzi, a tre. E se ormai da anni conviviamo con la chiacchiera sterile sul più grande di tutti i tempi, gli addetti ai lavori, a cominciare dagli stessi giocatori, sanno chi è il più forte di sempre. Il più difficile da battere, il tennista uscito vivo da sfide ormai perse, capace di superare i propri limiti a comando.
novak djokovic a wimbledon durante la partita con sinner
La sconfitta di Jannik Sinner non è paragonabile a quelle subite da Lorenzo Musetti o Stefanos Tsitsipas, entrambi rimontati al Roland Garros del 2021 quando erano avanti di due set a zero. Allora, Djokovic si mise in modalità muro di gomma, non sbagliò più niente, e tanto gli bastò. Il campione serbo è stato obbligato a giocare i suoi migliori tre set degli ultimi due anni.
Negli ultimi tempi, Djokovic ha vinto tre Majors nel 2021 senza mai raggiungere i suoi livelli di un tempo. E in questa sua strana stagione, per via della sua scelta di non vaccinarsi vive alla giornata, giocando dove può. Contro un sé stesso più giovane e più violento, ha dovuto all'improvviso trovare due ore di perfezione assoluta. Al servizio, in risposta, con una aggressività negli scambi che di recente non gli è propria. Il quasi ventunenne Sinner lo ha costretto a giocare alla sua maniera, gli ha imposto nuove regole e impedito di rifiatare.
jannik sinner novak djokovic wimbledon 1
Il predestinato altoatesino ha margini di miglioramento enormi, mentre gli altri con lui non hanno più margine. Ora Jannik ne è consapevole. Ci sono sconfitte che sembrano segnare una carriera, vedi appunto alla voce Tsitsipas. E altre che hanno il sapore di una promessa futura, così vicina che sembra di poterla toccare con mano.
SINNER, DUE SET DA RE
Gaia Piccardi per il Corriere della Sera
Dopo 145 anni di storia nel posto delle fragole vige ancora, brutale, la legge della giungla. «All'inizio del match Sinner non aveva niente da perdere, ma aveva tutto da perdere quando era avanti due set a zero. E io l'ho sentito» è la sintesi firmata Djokovic di una vicenda più animalesca che metafisica, benché gli dei di Wimbledon gli vogliano un gran bene.
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E così, avvertita la sottile vibrazione di esitazione di Jannik nel momento dello stratosferico vantaggio (7-5, 6-2) sul campione in carica e dei 20 titoli Slam, il re leone si è preso una pausa per la toilette («Mi sono fatto un discorsetto, da solo, davanti allo specchio») ed è tornato in campo come se nulla fosse successo, né il doppio fallo che ha rimesso in gioco l'avversario nel primo set (aveva avuto la palla del 5-1, il Djoker deprivato della prima di servizio, si è ritrovato 4-3) né il mortifero break del 6-5 Sinner e nemmeno le prodezze nel secondo set della palla di neve nata sulle montagne dell'Alto Adige (la veronica al terzo game, break del 2-1, la lucidità di chiedere il falco su una palla chiamata out, break del 6-2), arrivata scottata alla fine di una rovente maratona di 3h35', ma dignitosamente rotonda.
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E poi lo chiamano tennis. È un trekking dentro se stessi che esaurisce le scorte di superlativi nello zaino per Djokovic, già capace di rimontare con gli italiani da 2-0 sotto (Seppi a Parigi 2012, Musetti a Parigi 2021, oltre che Tsitsipas in finale), uscito ingigantito - se possibile - sulla strada di un confronto domenica con Nadal, l'eterno rivale, maestro nell'alzare il livello quando più gli serve e a inventarsi un secondo match dentro il match, quello che finisce 6-3, 6-2, 6-2 in tre set.
«A me non piace perdere ma credo di poter comunque essere felice: il mio successo è stato costringerlo a migliorare e, dopo i primi due parziali, a farmi giocare il tennis che voleva che giocassi» ha detto Sinner alla fine dandosi il permesso di non deprimersi e, se l'analisi può sembrare arzigogolata, in realtà è sintomatica della pressione che Jannik è riuscito (parzialmente) a esercitare sull'ex n.1, prima che si esaurisse nel serbatoio l'esperienza per gestirla. «Sono cresciuto durante il torneo e questa conoscenza dell'erba mi tornerà utile. Spero che un giorno basti per vincere».
jannik sinner a wimbledon durante la partita con djokovic
C'è stato tutto, dentro la generosità di una sfida generazionale e potenzialmente rivoluzionaria, che ha mancato il bersaglio di poco. William e Kate nel royal box (il glamour), affacciati sul futuro, la durata (l'epica), un passante incrociato del Djoker prodotto in spaccata e in tuffo (l'eros), da sublime artigiano di colpi piatti e traccianti, la morte sportiva del giovane rivale (thanatos), per un momento trafitto da una storta alla caviglia come Patroclo ucciso da Ettore. Tornerà, più forte e migliore. Djokovic-Sinner, quarto di finale di Wimbledon 2022, è stato - anche - la sintesi delle ultime tre stagioni pandemiche del serbo, un'altalena di alti e bassi e tornei on/off, conseguenza della corrente alternata del suo tennis no-vax: il rifiuto a vaccinarsi lo costringe a giocare poco, troppo poco e senza continuità. Però è pur sempre il Djoker, accidenti.
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La sosta in bagno con quella sbirciatina allo specchio gli ha permesso di recuperare il ricordo di sé mentre Sinner, dopo due set mostruosi, ha avuto un umano calo di tensione, le percentuali al servizio sono scese, la risposta (miglioratissima) al miglior ribattitore del circuito ha fatto meno male. «Sapevo che Novak si sarebbe inventato qualcosa, ho cercato di essere pronto, però lui il centrale di Wimbledon lo conosce bene, queste situazioni le ha vissute tante volte, i migliori hanno questa capacità di cambiare il match in un attimo: io devo imparare».
SINNER DJOKOVIC
È una spugna, Jannik. Lo diceva Riccardo Piatti, che l'ha formato, lo conferma Simone Vagnozzi, che insieme a Darren Cahill (la collaborazione continuerà: ora ci si metterà a tavolino per stabilire dove e come) è chiamato a portarlo alla meta. C'è troppa qualità dentro il braccio e la testa di Sinner perché questo treno non arrivi al capolinea. «Sbaglio ancora le volée, le smorzate, a volte anche il modo di servire - è stata l'impietosa analisi di se stesso di Jannik -. Sbaglierò ancora tanto nella vita ma la strada è giusta. Mi piace mettermi alla prova, ecco perché amo questo sport». Questo sport ama Sinner però è ancora morbosamente legato agli Immortali che l'hanno sdoganato anche su Marte, dove tutti conoscono Djokovic, Federer e Nadal ma un lampo di rosso, partito ieri dal centrale di Wimbledon, è arrivato anche lassù.
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