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    E’ INIZIATO IL CONGRESSO DELLA LEGA: TRA SALVINI E GIORGETTI NE RESTERA’ SOLO UNO – RIBADENDO LA LEALTA’ DEL CARROCCIO A DRAGHI, IL CAPITONE ASSECONDA LA LINEA DEL RICHELIEU LEGHISTA CHE VORREBBE MARIOPIO A PALAZZO CHIGI FINO AL 2023. “PENSO CHE LUI SIA L'ULTIMA CARTA A DISPOSIZIONE DELL'ITALIA”. GIORGETTI DA' COSÌ RAGIONE ALLE PAROLE ACCREDITATE A BERLUSCONI SULLE SCARSE CAPACITÀ DI SALVINI E MELONI DI GUIDARE IL PAESELA BATTAGLIA PER LA SEGRETERIA: DAGOREPORT


     
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    FRANCESCO VERDERAMI per il Corriere della Sera

     

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    Giorgetti è la rappresentazione plastica di come si possa vincere perdendo. Perché è vero che Salvini ha riaffermato il suo primato nella Lega, ma è altrettanto vero che - ribadendo la lealtà del Carroccio al governo Draghi - ha assecondato la linea politica del suo numero due.

     

    E in fondo questa era e resta la funzione di Giorgetti nel partito: non ha le stimmate del leader ed è troppo pigro per provarci. Le battaglie che si intesta mirano a un obiettivo, non a un ruolo. E puntando all'obiettivo, consolida il suo ruolo nella Lega.

     

    Così ha fatto anche stavolta: progettava di portare il Carroccio a Draghi e (finora) gli è riuscito. Non si è «venduto al premier», come sostengono i suoi detrattori salviniani, semmai cerca di far fare al partito un investimento nel «brand di Draghi». Perciò dice compiaciuto che «se il mio segretario e il premier sono contenti, io sono felice». Lo sarebbe ancor di più se l'ex presidente della Bce restasse a Palazzo Chigi.

     

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    Ieri in pubblico, intervistato da Bruno Vespa, si è limitato a dire che un'eventuale ascesa di Draghi al Quirinale «è un timore che qualcuno potrebbe vedere anche come una garanzia». Ma l'altro giorno in privato ha spiegato le sue ragioni a un dirigente del centrodestra che gli chiedeva come mai non volesse il premier al Colle: «Io non voglio nulla. Penso che lui sia l'ultima carta a disposizione dell'Italia. Guardati intorno: di riserve della Repubblica non ne abbiamo più».

     

    Indirettamente ha dato così ragione alle parole accreditate a Berlusconi sulle scarse capacità di Salvini e Meloni di guidare il Paese. Un problema che Giorgetti estende anche al fronte avverso. Perché il centrodestra farà pure acqua dappertutto, ma - secondo il ministro leghista - di là «non c'è nulla o quasi». E quel Pd che va a caccia di alleati per costruire una coalizione, gli ricorda il vecchio schema di potere dalemiano della Quercia con i cespugli attorno. Il suo pessimismo sull'attuale classe dirigente è pari alla scarsa considerazione che ha dei partiti, evidenziata nell'intervista alla Stampa che ha destato curiosità bipartisan.

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    Ma quando esponenti di centrodestra, e perfino ministri di centrosinistra, sono andati a compulsarlo per capire se immaginasse per il futuro una diversa geografia politica, Giorgetti ha posto subito fine alla discussione: «Salvini è il segretario della Lega e io sto nella Lega». Sarebbe però un errore interpretare questo concetto come un atto di mera sottomissione al capo. Semmai, ascoltando il resto della frase, è un gesto di fedeltà al partito: «Decide Matteo. Io la mia continuerò a dirla». E non c'è dubbio che di cose finora ne abbia dette. Intanto non ha condiviso la campagna elettorale, durante la quale «non abbiamo valorizzato i risultati del governo, senza capire che nel Paese il mood era cambiato».

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    Ce n'è traccia nel ragionamento svolto ieri, quando ha sottolineato come - con l'ingresso nel gabinetto Draghi - «sapevamo che si trattava di un investimento. Ora che abbiamo seminato, dobbiamo aspettare la raccolta». Una chiara allusione al nervosismo di Salvini, che dopo il voto ha subito sfidato Draghi sulla riforma del catasto, commettendo un errore di metodo e di merito. Di metodo perché, come riconosce un dirigente leghista, «a forza di penultimatum ci stiamo logorando da soli». Di merito perché non c'è oggi alternativa al patto di governo.

     

    Raccontano nel Carroccio che, in vista dell'incontro con Draghi, fosse stato preparato a Salvini un documento con cui chiedere al premier di stralciare la riforma del catasto e di affidarla a una commissione presso l'Economia per una più approfondita valutazione. Quel testo è scomparso dai radar, non si sa nemmeno se sia stato mostrato a Draghi. Di qui in avanti sarà interessante vedere come si muoverà Salvini, che ha deciso di trattare in prima persona con l'ex presidente della Bce i dossier di governo, proprio adesso che arrivano a scadenza la riforma della concorrenza e la Finanziaria. Accompagnato alla porta, Giorgetti attende di essere richiamato nella stanza.

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    A volte si può vincere perdendo. Ma il numero due della Lega non è esente da colpe per le condizioni in cui versa la Lega. Il suo endorsement per Calenda a Roma, ad esempio, è stato vissuto nel centrodestra come una reazione alle scelte per le Amministrative: «Ma lui c'era alle riunioni e stava zitto», ricordano gli alleati. E in questi casi non vale la logica del silenzio-dissenso. Eppoi sono suoi i candidati di Torino e Varese, che stanno al ballottaggio. Andassero male, la regola di vincere perdendo non varrebbe.

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