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Marco Materazzi risponde a Lilian Thuram dal palco del Festival di Trento. Thuram nelle scorse ore ha lanciato un appello: "I giocatori bianchi non devono stare zitti nella lotta contro il razzismo".
Un appello a cui Materazzi, nel corso del suo intervento, ha replicato così: “Sono contro il razzismo, però Thuram non è mai uscito dallo stadio quando cantavano Materazzi figlio di puttana. Questa è la discriminazione, per il bianco, per il nero e anche per il figlio di puttana”.
PENSATORI CON I PIEDI
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Storie da raccontare, di calcio e di vita: spettacolo con le parole e con i piedi. Liberando le briglie alla fantasia, come un dribblomane quando individua nella fascia la sua via di fuga. C'è il linguaggio del pallone preso a calci, perché - lo disse Pasolini - il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell'anno. E c'è il linguaggio di chi - seduto davanti ad una pagina bianca e immacolata - prova a raccontare la magia di una parabola, l'epica di una partita, lo snodarsi di una carriera tra le tante, però speciale.
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Qualche volta le due narrazioni coincidono. Prendete Jorge Valdano. Stella del Real Madrid degli anni 80, campione del mondo con l'Argentina nel 1986 - era l'uomo che seguiva come un'ombra Maradona - e poi nella sua second life, scrittore finissimo, lucido e profondo, capace come pochi di restituirci - con le parole - l'incanto del pallone che rotola e degli uomini che lo rincorrono.
«Ogni volta che respiro l'odore dell'erba mi torna addosso l'infanzia», ha scritto e non è forse questa una delle più belle dichiarazioni d'amore per il calcio? I suoi libri - da Il sogno di Futbolandia a Le undici virtù del leader - sono ormai dei classici, hanno il peso di certe opere che fin da subito si rivelano necessarie.
Se Valdano è il Philip Roth del racconto calcistico, in molti - soprattutto in questi ultimi anni - hanno cercato di percorrere la strada dove la letteratura si mescola al pallone. Un esempio virtuoso è quello di Lilian Thuram, da sempre impegnato nelle battaglie sociali per l'uguaglianza e i diritti civili. Nel suo ultimo libro - Il pensiero bianco (add editore) - l'ex difensore di Juventus e Parma si sofferma sugli snodi della storia - le conquiste coloniali, la schiavitù, la continua razzia di materie prime e dell'arte africana - e racconta la cristallizzazione di una gerarchia, di un sistema-mondo dove non si nasce bianchi, ma lo si diventa.
gigi buffon lilian thuram daniel bravo
marco materazzi
In Italia il primo calciatore-scrittore è stato Paolo Sollier, che nel 1976 raccontò in un libro di denuncia - Calci, sputi e colpi di testa - l'altra faccia della luna. In copertina c'era lui, schierato a centrocampo sotto la pioggia, col pugno sinistro chiuso. Aveva studiato Marx, in ritiro portava i libri di Pavese e Evtusenko, ascoltava le canzoni di De Andrè, Gaber e Guccini, per principio non firmava autografi. Erano anni ribaldi e spettinati, contestare era un'esigenza quasi fisica. Ci si ribellava al sistema, si combatteva il potere costituito.
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Molti sfilavano in piazza, qualcuno entrava in campo. Si cantava la libertà, anche con i piedi. Il massimo esponente del pasoliniano "calcio di poesia", è stato il suo compaesano Ezio Vendrame. L'altro poeta di Casarsa l'Ezio idolo indimenticato del Menti di Vicenza come dell'Appiani di Padova che fino alla fine dei suoi giorni (è morto nell'aprile del 2020) ha continuato a pubblicare libri sferzanti dai titoli irriverenti come Se mi mandi in tribuna godo (Edizioni Biblioteca dell'Immagine).
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Una ventina d'anni più tardi, con Carlo Petrini e il suo Nel fango del dio pallone, per il calciatore arrivò il momento di fare i conti con la coscienza, individuale e collettiva. Era quella di Petrini una voce fuori dal coro: nei suoi libri raccontò di quando il pallone perse la sua innocenza. Pe- trini denunciò il doping, le partite truccate, i pagamenti in nero, le scommesse, i giocatori corrotti e malati di sesso, i vizi privati, la miseria morale della tribù di cui faceva parte.
A Petrini va dato anche il merito di aver squarciato, per primo, il velo di omertà intorno al "Caso Bergamini" con Il calciatore suicidato: la morte misteriosa dell'ex centrocampista del Cosenza per il quale la sua famiglia attende giustizia da oltre trent' anni. Negli ultimi due decenni è scoccato il tempo delle biografie.
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Il primo ad avere successo in libreria fu Francesco Totti che - spinto dall'amico Maurizio Costanzo con la complicità di Giancarlo Dotto - si fece "scrivere addosso" un libro di barzellette, intingendo di autoironia - dote così rara nel calcio - ogni singola riga. Fu una svolta clamorosa, che diede fiducia a terziniletterati e centravanti in vena di confidenze. In seguito , da Zoff a Buffon, da Cabrini a Cassano, da Paolo Rossi a Ibrahimovic, da Baggio a Maldini, da Pirlo a Gattuso, in molti si sono cimentati nel racconto della propria vita, chi con didascalica pigrizia e chi con più disinvoltura e generosità nel racconto.
Perché scrivere un libro, per un calciatore, significa mettersi in gioco, sperimentarsi in un territorio sconosciuto, oltre la linea del fallo laterale. Esattamente come recitare in un film. Il percorso dall'area di rigore al red carpet l'hanno fatto in tanti, con risultati non sempre all'altezza delle ambizioni. Il più delle volte il calciatore da Maradona a Pelé, da David Beckham a Vinnie Jones - si è prestato a comparsate che non hanno lasciato traccia nella storia del cinema.
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Altre volte - da Cristiano Ronaldo a Messi, da Zidane a Ibrahimovic, da Ronaldo il Fenomeno a Neymar - ha prestato la propria storia a più o meno riusciti docufilm. Un solo uomo - nel passaggio dal gol al ciak si gira - si è confermato un campione. Eric Cantona, "Dieu", come lo chiamavano i tifosi del Manchester United negli anni '90. Ha recitato in una trentina di film, il più celebre dei quali è sicuramente Il mio amico Eric (2009), di Ken Loach, dove interpretava se stesso; mentre di recente è stato premiato per la sua interpretazione nella serie-tv Lavoro a mano armata. Maestoso e magnetico, sempre in posa per la Storia; Cantona - in un campo di calcio o nel set di un film - ha sempre interpretato se stesso, dandoci la conferma della vecchia cara regola: la vita prima si recita e poi si vive.
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