Andrea Malaguti per "la Stampa"
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Nord. Bisognerebbe scriverlo maiuscolo. Perché l'impressione - o forse è uno scherzo del cervello - è che qualunque frase esca dalla bocca di Giancarlo Giorgetti finisca con uno stentoreo Nord. Detto in varesotto e in tonalità Bossi, il suo vero, riconosciuto, punto di riferimento. «Il 99% di quello che so l'ho imparato da lui e a dire il vero gli farei ancora gestire la partita del Quirinale». Produttività, lavoro e una sfumatura della fu Romaladrona.
Che un tempo era anche la sinfonia preferita di Matteo Salvini e oggi invece è il terreno scivoloso che divide il ministro e il suo Capitano, sfiancato dalla Meloni e pervicacemente avvinghiato all'idea dal partito nazione. E poi c'è Draghi. Passione di Giorgetti, ossessione di Salvini, capace di suscitare una sottile e inedita diffidenza, un sentimento piccolo, come una capocchia di spillo, che per loro - e per i destini della Lega - ha però un peso specifico importante.
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Così, in un elegante albergo nel centro di Torino, Giancarlo Giorgetti, nel corso di un pranzo ritagliato tra un incontro e l'altro per la campagna elettorale di Paolo Damilano, decide di fare il punto con «La Stampa» sullo stato dei suoi rapporti col Capitano e con Draghi, sulla corsa al Colle e sulle aspettative per il voto di domenica.
Ministro Giorgetti, ci sono due Leghe?
«Una sola, fatevene una ragione».
Per lo meno ci sono due linee.
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«Per niente. Al massimo sensibilità diverse. Amando le metafore calcistiche direi che in una squadra c'è chi è chiamato a fare gol e chi è chiamato a difendere. Io per esempio ho sempre amato Pirlo. Qualcuno deve segnare, qualcuno deve fare gli assist». Lei a Varese ha detto: ci rifacciamo alla Lega lombarda, che univa le comunità e faceva il bene della propria gente. «E' vero, qual è il problema?».
Nessuno. Solo che mentre lei richiamava le radici del Nord a Tor Bella Monaca Salvini diceva: io mi sento romano d'adozione.
«Bisogna vedere come la pensano i romani».
Secondo lei?
«Vedremo la prossima settimana. Ma è vero che la Capitale ci ospita, anche se io vivo nella campagna di Varese».
Chi vince le amministrative a Roma?
«Dipende da quanto Calenda riesce a intercettare il voto in uscita dalla destra. Nei quartieri del centro penso che sarà un flusso significativo. Ma non so come ragionino le periferie. Se Calenda va al ballottaggio con Gualtieri ha buone possibilità di vincere. E, al netto delle esuberanze, mi pare che abbia le caratteristiche giuste per amministrare una città complessa come Roma».
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E se al ballottaggio ci vanno Gualtieri e Michetti?
«Vince Gualtieri».
Michetti è un candidato sbagliato?
«Non lo so. Ma so che il candidato giusto sarebbe stato Bertolaso».
A Milano?
«Sala può vincere al primo turno».
Non le piace Bernardo?
«Non è questo il punto. Per altro i candidati non li ho scelti io. Faccio il ministro e mi occupo d'altro. Come è giusto che sia».
Però, qui a Torino, si sta occupando di Damilano.
«Lo facevo già prima di entrare al ministero dello Sviluppo economico. Credo che possa vincere al secondo turno».
Il centrodestra al secondo turno non vince mai.
«Statisticamente è così. Ma qui il caso è diverso. Paolo è un candidato civico. Il voto politico si esprimerà al primo turno. Poi conterebbe la persona e la città potrebbe convergere su di lui».
Ministro, quante possibilità ci sono che Berlusconi faccia il presidente della Repubblica?
«Poche».
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Allora, perché Salvini rilancia la sua candidatura?
«Per evitare di parlare di altre cose serie».
Quali sono le altre cose serie?
«Draghi. La vera discriminante politica per i prossimi sette anni è che cosa fa Draghi. Va al Quirinale? Va avanti col governo? E se va avanti con chi lo fa?».
Lei che cosa vorrebbe?
«Vorrei che rimanesse lì per tutta la vita. Il punto è che non può».
Perché?
«Perché appena arriveranno delle scelte politicamente sensibili la coalizione si spaccherà. A gennaio mancherà un anno alle elezioni e Draghi non può sopportare un anno di campagna elettorale permanente».
Fino ad oggi non si è preoccupato dei partiti.
«Da gennaio la musica sarà diversa. I partiti smetteranno di coprirlo e si concentreranno sugli elettori».
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Morale?
«L'interesse del Paese è che Draghi vada subito al Quirinale, che si facciano subito le elezioni e che governi chi le vince».
Dopodiché cambierebbe il ruolo del Quirinale
«Draghi diventerebbe De Gaulle».
Questo Parlamento è pronto a eleggere il nuovo De Gaulle?
«Non lo so, ma questo è l'interesse del Paese».
Perfetto, mandiamo Draghi al Colle. Poi che succederà con i soldi europei?
«Che li butteranno via. Oppure non li sapranno spendere».
Scenario B: Draghi resta al suo posto. Mattarella?
«Mattarella resta solo se tutti i partiti lo votano. E la Meloni ha già detto che non lo voterà».
Salvini lo voterebbe?
«Penso di no».
Escluso il bis, allora.
«Complicato».
C'è aria di Casini.
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«Ecco, non lo escluderei. Casini è amico di tutti, no?».
Ministro, perché la Bestia Morisi ha mollato Salvini?
«Boh, io non credo che dietro alla sua scelta ci siano motivazioni politiche».
Quindi non l'ha affossato lei?
«Ma figuriamoci, proprio no. Io lo rispetto tantissimo Morisi. È intelligentissimo. Fa un lavoro che io non capisco, perché sono a-social. Ma lui è super bravo».
Le piace anche quando spara a zero sui migranti o su Saviano?
«È da un po' che aveva smesso di farlo. Credo abbia fatto una scelta personale. Tutto qui».
Alla tre giorni sindacale organizzata da Landini a Bologna il commissario europeo al lavoro, Schmit, ha rilanciato il salario minimo europeo.
«Se non c'è la parità di acquisto nei Paesi europei è piuttosto difficile da realizzare. Poi col salario minimo togli legittimazione alla contrattazione, ammazzando il sindacato».
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I sindacati esistono anche in Germania. «Un altro mondo e un'altra cultura». Per cui niente salario minimo con buona pace di Conte e Letta?
«Per cui il dibattito è aperto anche se va inserito in un discorso più ampio. E poi, a una settimana dal voto, questa discussione puzza di demagogia».
Che rapporto ha col ministro Orlando?
«Umanamente correttissimo. Certo che lui sconta un retroterra culturale particolare».
Lo ispira Landini, come sostengono molti suoi colleghi leghisti?
«Può essere. Io ho un ottimo rapporto anche con Landini, a dire la verità. Però il problema è un altro».
Quale?
«Recitano una parte. È tutto un copione, a cominciare dai tavoli di crisi. Tutta una rappresentazione per l'opinione pubblica. Come se fossimo negli anni '80. Invece sulle cose concrete possiamo incontrarci. E spesso lo facciamo».
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E Bonomi?
«Ha fatto bene Renzi a dirgli di darsi una calmata. È come se anche la Confindustria non avesse il senso del momento».
Ha mai pensato a fare lei il front-man della Lega?
«Quella di cui parla lei mi sa che è la politica di copertina».
In realtà parlavo di politica di visione.
«Preferisco guardare lontano restando dietro. Se fai il front-man finisce che ti perdi nelle risse. Guardi quello che è successo a Letta».
Che gli è successo?
«L'hanno preso e scaraventato nella mischia. Ecco, io no, grazie».
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Ministro, un'ultima cosa. Che cosa pensa della sentenza sulla trattativa Stato Mafia «Penso che una storia come quella in Francia sarebbe durata due settimane. Lo Stato fa lo Stato».
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