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    "AH, VOI GIOVANI CHE SCOPATE SENZA PRECAUZIONI E POI PENSATE DI USARE L'ABORTO COME CONTRACCETTIVO" - GIORGIA SOLERI, FIDANZATA DI DAMIANO, LEADER DEI MANESKIN, SU "LA STAMPA" RACCONTA DI AVER INTERROTTO UNA GRAVIDANZA INDESIDERATA NEL 2017: "A 21 ANNI HO ABORTITO. SONO STATA AGGREDITA E COLPEVOLIZZATA DAI MEDICI. PASSAI I 2 ANNI SUCCESSIVI A SOGNARE DI PARTORIRE FETI MORTI" - MOLTE DONNE VENGONO MALTRATTATE DAL PERSONALE SANITARIO. E SUI SOCIAL...


     
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    Testo di Giorgia Soleri pubblicato da "La Stampa"
     

    GIORGIA SOLERI GIORGIA SOLERI

    Il 21 aprile 2017 ho abortito. È importante per me iniziare da qui, mettere nero su bianco un'esperienza che fino a poco tempo fa avevo il terrore anche soltanto di pronunciare.
     
    Il pensiero di una gravidanza indesiderata ha sfiorato per la prima volta l'anticamera del mio cervello quando ero più che adolescente. Ero nel bagno di un bar in cui non prendeva il telefono, in attesa del risultato di un test.
     
    Non un ritardo, anzi, avevo avuto persino quelle che poi erano state definite "false mestruazioni". Eppure non mi sentivo bene, avevo un dolore addominale anomalo anche per me che ne soffrivo da sempre (4 anni dopo avrei scoperto si trattava di endometriosi e adenomiosi), e gli episodi di nausea e vomito iniziavano a essere troppi.
     

    damiano david e giorgia soleri a montecitorio per la proposta di legge sulla vulvodinia damiano david e giorgia soleri a montecitorio per la proposta di legge sulla vulvodinia

    La seconda linea era apparsa prima che avessi avuto il tempo di tirarmi su mutande e pantaloni. Gli istanti successivi erano stati confusi: panico, claustrofobia, il telefono che non prendeva. Io che ad alta voce mi dicevo, quasi in preda a un'esperienza extra-corporea: «Anche se fosse, chi potresti chiamare?». E ancora tachicardia, terrore, maledizioni.
     
    Ero cresciuta con una mamma femminista, che a 4 anni mi aveva spiegato l'importanza della 194 e del diritto all'aborto, ma l'idea di abortire, la concretezza di una scelta, mi sembravano così lontane. Avevo 21 anni, un lavoro con partita Iva dal guadagno incerto, non sapevo badare a me stessa e non avevo una relazione stabile. Ingenuamente, pensavo che l'aborto avesse a che fare con situazioni di disagio, problematiche familiari ed economiche. Era quello che era sempre arrivato alle orecchie non troppo attente della neomaggiorenne che ero.
     

    damiano david e giorgia soleri a montecitorio per la proposta di legge sulla vulvodinia damiano david e giorgia soleri a montecitorio per la proposta di legge sulla vulvodinia

    Pochi giorni dopo ero seduta sulla sedia di un consultorio, con il plico degli esami ginecologici sulle mie gambe che non smettevano di tremare. «Salve, vorrei intraprendere il percorso di IVG» avevo detto con un filo di voce. «Ah, voi giovani che scopate senza precauzioni e poi pensate di usare l'aborto come contraccettivo si sdrai sul lettino a gambe aperte, vediamo cos'ha combinato». Con la capacità emotiva di un robot, io mi ero alzata e avevo eseguito senza fiatare.
     

    chiara con damiano dei maneskin e giorgia soleri chiara con damiano dei maneskin e giorgia soleri

    Così, con il gelido e viscoso liquido per ecografia sulla pancia, avevo scoperto di dover affrontare un colloquio con un assistente sociale e di avere l'obbligo, per legge, di soprassedere alla mia scelta per 7 giorni. La legislazione italiana mi stava sussurrando «Ora vai in castigo, pensa a quello che hai fatto e poi vediamo se hai il coraggio di procedere». Avrei voluto sentirmi tutelata, accolta, abbracciata dalle istituzioni in un momento in cui mi sentivo vulnerabile. E invece avevo sentito solo giudizio e punizione, che a quel punto pensavo di meritarmi.
     
    Soffrivo di una depressione non ancora diagnosticata, e il modo in cui ero stata trattata mi aveva fatto chiudere a riccio, impedendomi di chiedere supporto alle persone intorno a me, amici e familiari compresi. Passai i 2 anni successivi a sognare di partorire feti morti, ma intrapresi anche un percorso femminista che, oltre a donarmi grande consapevolezza rispetto alla difficoltà sistemica di accedere all'aborto in Italia, mi fece rivalutare la mia esperienza e me ne fece scoprire di nuove.
     

    giorgia soleri giorgia soleri

    Come quella di Alice Merlo (su IG @alice22.07), attivista e femminista intersezionale nonché volto della campagna di sensibilizzazione UUAR aborto farmacologico-una conquista da difendere e collaboratrice della campagna Libera di Abortire. Alice, grazie al progetto di sensibilizzazione e mutualismo dal basso di Federica di Martino, Ho abortito e sto benissimo (su IG @ivgstobenissimo), ha affrontato l'esperienza di aborto libera da pregiudizi e stigma, e si è resa conto che raccontarsi in un'ottica di pluralità di narrazioni non nega di certo la possibilità di un aborto doloroso, ma lascia spazio a chi, per mille motivi e tutti validi, lo vive in maniera diversa.
     
    Concentrarsi sulle lacune di un sistema sanitario nazionale che giudica e rende inaccessibile un servizio che dovrebbe essere garantito è possibile. Troppe volte viene usata la retorica del «Ma i contraccettivi? È solo colpa tua», negando la possibilità che proprio i contraccettivi non abbiano funzionato o che alla persona incinta siano stati negati (applicando violenza psicologica), e passando il messaggio che la gravidanza sia la giusta punizione per rimediare a uno sbaglio.
     

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    Raccontando la difficoltà dell'accesso all'aborto farmacologico (più sicuro e più economico), la mancanza di mediatori culturali per la tutela delle persone migranti che richiedono l'interruzione volontaria di gravidanza, la necessità di percorsi di accompagnamento e sostegno e dell'informazione in materia di contraccezione, realtà come quella di cui Federica di Martino è ideatrice possono cambiare la percezione di un diritto che dovrebbe essere scontato e che invece viene messo in dubbio da 44 anni.
     
    Dobbiamo ascoltare una pluralità di voci ed esperienze, tutte diverse e tutte valide e legittime. Come dice Alice, «Il dolore, per essere rispettato, non va mai imposto» e come dice Federica, «Non possiamo decidere cosa debba provare chi abortisce». D'altronde, il femminismo anni Settanta ci insegna che il personale è politico. E io ci credo fortemente.

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