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MA GIULI MICA ARRIVA DA MARTE – SU “REPUBBLICA” STEFANO CAPPELLINI RACCONTA IL BELLUINO UNIVERSO POLITICO DELLA DESTRA POSTFASCISTA, DI CUI FRATELLI D’ITALIA È L’ULTIMA INCARNAZIONE - “METTI DIECI EX FASCISTI IN UNA STANZA E IN POCHI MINUTI AVRAI CINQUE GRUPPETTI DA DUE PRONTI A SOTTOLINEARE LE LORO IDEE CON CAZZOTTI, CALCI E SPUTI” – UN CALDO AMBIENTINO CHE PERO' GIULI CONOSCEVA BENISSIMO AL PUNTO DA SFORNARE NEL 2007 “IL PASSO DELLE OCHE”, UN PAMPHLET DOVE SPARA A ZERO SU ALMIRANTE, FINI, RAUTI, STORACE, MELONI…

A PROPOSITO DEI POST-CAMERATI

ALESSANDRO GIULI - IL PASSO DELLE OCHE

Estratti da “Il passo delle oche. L’identità irrisolta dei postfascisti”, di Alessandro Giuli (ed. Einaudi) – 2007

 

‘’Una destra (quella di Fini, ndr) nella quale, tolta la sempreverde e irrealizzabile seduzione corporativa, il fascismo smette perfino d'essere un modo di stare al mondo. Bisogna anzi evitare di metterlo in scena «in modo grottesco». Conta piuttosto essere generici e appetitosi…

 

Come poliziotti di complemento deideologizzati, come missionari laici di un cattolicesimo mai pensato fino in fondo, pronti per bersi la teoria del «doppiopetto» e della «doppia pena di morte» per i terroristi, i missini almirantiani precorrono i tempi e già sottraggono argomenti ai futuri accusatori del tradimento finiano.

 

Dice Almirante: «Vi sono due modi per tradire il proprio passato, uno consiste nel voltargli le spalle, l'altro nel non attualizzarlo». Dentro al verbo «attualizzare» c'è un mondo intero. Il mondo rarefatto dell'attualismo gentiliano, nel quale ogni dato di realtà obbedisce alla necessità storica dello spirito, e diventa quindi stato di diritto.

 

alessandro giuli - tatuaggio aquila fascista

E c'è la più prosaica volontà di non essere più fascisti, senza con ciò definirsi afascisti o, peggio, antifascisti. Basta sostituire il termine «attualizzarlo» con «aggiornarlo», e «fascismo» con «destra» per avere tra le mani mezza carta d'identità della futura An.

 

CAZZOTTI E SEDIATE, ECCO IN QUALE RISSA TRA CAMERATI È FINITO IL MINISTRO GIULI

Stefano Cappellini per www.repubblica.it

 

È domenica 14 gennaio 1990. Il presidente del Consiglio è Giulio Andreotti, nel pomeriggio il Napoli futuro campione d’Italia ha fatto solo 2-2 con l’Udinese, il singolo più venduto è Lambada, il giorno successivo Giorgia Meloni compie 13 anni. A Rimini si sta chiudendo il XVI congresso del Movimento sociale italiano ed è ormai notte, dunque già lunedì 15, quando lo spoglio del voto dei delegati per decidere chi sarà il segretario del partito arriva alle ultime schede da scrutinare.

Gianfranco Fini - Pino Rauti - XVI congresso del Movimento sociale italiano 1990

 

I candidati rimasti in lizza sono due: il leader uscente, il neanche quarantenne Gianfranco Fini, e lo sfidante Pino Rauti, vecchia volpe del neofascismo italiano. È un testa a testa e la platea è una bolgia. Ogni preferenza annunciata dal tavolo della presidenza scatena cori. “Rauti”. “Olèèèè”. “Fini”. “Buuuuuuu”. “Rauti”. Boato. “Fini”. Ululati. Alla fine, su quasi 1500 delegati, Rauti vince per 47 voti. È il nuovo capo del Msi. Tripudio in metà sala, teste chinate nell’altra metà. Ma stavolta, almeno, ognuno resta al suo posto.

 

ignazio la russa francesco storace

Due giorni prima era servito l’intervento della polizia per riportare la calma in sala dopo che le opposte fazioni si erano affrontate in una gigantesca rissa sotto il palco. Un gruppo di rautiani si scaglia contro due marescialli finiani, il triestino Roberto Menia e il torinese Agostino Ghiglia, che sarebbero poi diventati parlamentari e il secondo è oggi membro dell'Autority per la privacy.

 

Cazzotti, calci, sputi. Decine di delegati si buttano nella zuffa. Indimenticabile la scena di un delegato, vai a sapere se finiano o rautiano, che si scaglia contro un altro camerata brandendo una sedia e abbattendola sul rivale. I neofascisti italiani non avevano scoperto gli usi alternativi della poltrona.

fini almirante

 

All’inizio del congresso il bolognese Filippo Berselli, una lunga carriera da parlamentare cominciata nel 1983, aveva gettato un profilattico sul banco di Adriana Poli Bortone, a simboleggiare il tradimento della futura sindaca di Lecce passata dal sostegno a Fini a quello a Rauti.

 

Sul Secolo d’Italia la cronaca del congresso è affidata, tra gli altri, a Francesco Storace, che qualche anno dopo introdusse nel dibattito pubblico la massima: “Il cazzotto sottolinea l’idea”. Sentito al telefono per una consulenza a Hanno tutti ragione, con cortesia Storace conferma il ricordo: “Eravamo famosi per le sediate – racconta e sorride – anche al congresso romano, prima di Rimini, era finita così e io mi scontrai con Tony Augello, poi diventato mio fraterno amico”.

ignazio la russa francesco storace 1

 

Bisogna conoscerlo bene, quel mondo lì, per sapere che le faide in Fratelli d’Italia, ultima quella intorno alle scelte del neo ministro della Cultura Alessandro Giuli, non nascono dal niente e che nella grande comunità della destra postfascista vige una prassi: nessun odio verso la sinistra, i comunisti, l’immigrazione, i salotti, i sorosiani, il mondialismo, il globalismo può superare l’odio per l’esponente della corrente rivale. Dice: vabbè, ma è così in tutti i partiti. Non proprio.

 

alfredo mantovano e gianfranco fini 2002

Perché, al di là delle antipatie personali e dello scontro di ambizioni, cose che c’erano e ci sono ovunque, ad aggravare il peso e la longevità delle inimicizie nel mondo degli ex missini c’è il fatto che si tratta di una comunità da sempre divisa in parrocchie di rito diverso, spesso opposto: c’erano i fascisti neri e i fascisti rossi, come il mitologico Beppe Niccolai, i nostalgici e i futuristi, i turbo-atlantisti e i terzomondisti, i filoisraeliani e i filopalestinesi (c’è tutto un filone sufi e islameggiante), i tradizionalisti e i libertari dannunziani, i cattolici integralisti (come per esempio il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano) e i neopagani (come Giuli, appunto).

Meloni e Rampelli

 

Tutto aggravato da passate militanze vissute come appartenenze claniche e trasmesse anche alle generazioni successive: quelli del Fuan, gli almirantiani, i rautiani dei Campi Hobbit da non confondere con i rautiani ex Ordine Nuovo, i Gabbiani, che poi erano la sottocorrente di una corrente, loro nella sezione romana di Colle Oppio e tutto il mondo fuori.

Tony Augello

 

Difficile dire se in questa tendenza allo scontro intestino pesi più una impronta genetica, la lotta tra cervi maschi per il primato nel branco (e se vince la cerva vuole essere chiamata al maschile), un riflesso darwiniano - le correnti del Partito Nazionale Fascista che si azzuffano all’ombra del Grande Capo come oggi i Fratelli alla corte delle sorelle Meloni – o anche solo una certa predisposizione manesca e all'ingaglioffamento – a ‘nfame! – che vale per i giornalisti sgraditi ma soprattutto per i sospetti traditori, vedi reazione di Meloni alla fuga di notizie dalla chat dei parlamentari di FdI.

 

Metti dieci ex comunisti in una stanza e in pochi minuti avrai due partiti da 5 e altrettante mozioni da 300 pagine. Metti dieci ex fascisti in una stanza e in pochi minuti avrai cinque gruppetti da due pronti a sottolineare le loro idee, e abbiamo capito che non è un’operazione a matita.

gianfranco fini alfredo mantovano 1998 L ARTICOLO DEL FOGLIO SULLA RIUNIONE DEI GABBIANI DI RAMPELLIGianfranco Fini - Pino Rauti - XVI congresso del Movimento sociale italiano 1990Gianfranco Fini - Pino Rauti - XVI congresso del Movimento sociale italiano 1990beppe niccolaiBeppe Niccolaifini almirante large Beppe Niccolaifrancesco storace ignazio la russa