Marco Giusti per Dagospia
cold war
Cannes quarto giorno. Nel segno di Stalin, della ricerca etnomusicale e del jazz parigino anni 50. Ah! Se non ci fossero i comunisti a salvare il cinema... Il film polacco di stamattina, Zimna Wojna/Cold War, scritto e diretto da Pawel Pawlikowski, incorniciato in un rigoroso e luminoso schermo in bianco e nero, è una bellissima storia d'amour fou che vede protagonisti Victor, Tomas Kot, un compositore e ricercatore musicale e la sua musa, Zula, la notevole Joanna Zulig, una contadina dalla bella voce e dal gran carattere ("mio padre una notte mi prese per mio padre, il mio coltello gli fece capire la differenza"), ai tempi della Guerra Fredda tra il 1949 e il 1964.
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Il regista insegue i suoi eroi, realmente innamorati l'una dell'altro, attraverso i loro spostamenti in una Polonia stalinista, a Berlino Est, nella Parigi anni 50 dei fuoriusciti, nella Jugoslavia titina, fino a uno sciagurato ritorno a casa. Ma insegue anche le loro divagazioni e ricerche musicali nel corso degli anni, dalla seria ricerca folklorica sul campo, agli inni a Stalin, dalla musica da film per un piccolo horror italiano (che film é? Boh...), al jazz alla polacca di Komeda.
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Non è tanto lo stalinismo a mettersi si traverso al loro amore, quanto la consapevolezza dei loro compromessi, soprattutto artistici. Come il ricostruire in Occidente la vita di Zula, sorta di Barbara Lass musicale. Al punto che la Guerra Fredda sembra uno sfondo piuttosto che il protagonista della vicenda. Due attori meravigliosi che sarà difficile scordare, una tenuta registica perfetta, come lo era per il precedente Ida, applaudito in tutto il mondo, ma anche un meticoloso e mostruoso lavoro sulla musica, fanno di questo Cold War un candidato clamoroso a tutti i premi maggiori.
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