Marco Giusti per Dagospia
Destino beffardo quello che colpisce Flavio Bucci, celebre Ligabue televisivo, che esce di scena a 73 anni proprio quando sta per uscire al Festival di Berlino un nuovo film dedicato al pittore, “Volevo solo nascondermi”, interpretato da Elio Germano e diretto da Giorgio Diritti. Nella sua vita, tormentata, giocata spesso al massimo, sicuramente non semplice, Bucci ha avuto una serie incredibile di alti e bassi, cadute e rinascite improvvise.
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Sullo schermo, oltre che pittore nel celebre “Ligabue” di Salvatore Nocita sceneggiato da Cesare Zavattini, è stato il pianista cieco per “Suspiria di Dario Argento, il militante marxista-mandrakista Total in “La proprietà non è più un furto” di Elio Petri, forse il suo miglior film e miglior ruolo, killer per “’ultimo treno della notte” di Aldo Lado, Commissario Ingravallo per l’edizione tv di “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” da Gadda, Franco Evangelisti, uomo di Andreotti ne “Il divo” di Paolo Sorrentino, Don Luigi Sturzo e Bakunin in tv, padre di Ceccherini in “Lucignolo” di Massimo Ceccherini, rivoluzionario deluso Svitol in “Maledetti vi amerò” di Marco Tullio Giordana, risentitevi il suo monologo su cosa è di sinistra e cosa è di destra (“…l’erotismo è di sinistra, la pornografia è di destra… la penetrazione è di destra, i preliminari sono di sinistra, mentre il pompino è di destra…”), gigolò napoletano in “Gegé Bellaviita” di Pasquale Festa Campanile, Russ Brissenden nel “Martin Eden” tv.
Con i colleghi Michele Placido e Stefano Satta Flores lottò per i diritti degli attori italiani e costruì una cooperativa che produsse il vero esordio di Nanni Moretti, “Ecce bombo”. Come attore non si fece mancare nulla, dagli esordi in “la classe operaia va in Paradiso” di Petri a “Pierino Stecchino” di Claudio Fragasso, da “Tex e il signore degli abissi” di Duccio Tessari a ”Il marchese del Grillo” di Mario Monicelli. Nessuna delle sue interpretazione è però mai superficiale, banale, neutra, ogni volta costruisce qualcosa di particolare e di estremamente aderente al suo personaggio.
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La sua è una pratica teatrale che applica fin dall’inizio, fin dalle sue prime apparizioni sullo schermo. Nato a Torino nel 1947, figlio di immigrati pugliesi, si forma alla scuola del Teatro Stabile di Torino, lavora poi allo Stabile di Genova e al Piccolo di Milano. Lo troviamo alle prese con opere importanti, “Le opinioni di un clown” di Heinrich Boll, “Le memorie di un pazzo” di Gogol, “Conversazione continuamente interrotta” di Flaiano. Lavora con registi come Mario Missiroli e Marco Mattolini, ma saranno poi Elio Petri, Valentino Orsini e Salvatore Nocita a portarlo al successo a metà degli anni ’70, prima al cinema e poi in tv.
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La sua è una recitazione nervosa, sofferta, teatrale, ottima nel grottesco, più in difficoltà nel comico. Dichiara a più riprese che il suo sogno proibito è sempre stato quello di fare un film comico. Lo farà con “Gegé Bellavita” di Pasquale Festa Campanile, dove cerca una nuova strada in un tipo di commedia a basso costo, girata addirittura in 16 mm, che non funzionerà come sperato, ma che rimane come un bel tentativo. Attore molto moderno, come oggi possono essere Elio Germano o Luca Marinelli, sviluppa quel tipo di recitazione fra teatro e cinema che Petri sviluppò prima con Gian Maria Volonté e che Bucci riprese con successo.
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Bucci aveva ricordi incredibili di quei tempi, con Petri regista violento con gli attori al punto di alzare davvero le mani perfino con Volonté. Purtroppo dopo il successo degli anni ’70 e una serie di buoni ruoli negli anni ’80, Bucci si smarrì fra eccessi e sfortune. Ma non perse mai la lucidità sul proprio lavoro, come dimostrano le sue ultime apparizioni, anche recentissime, al cinema.
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