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    IL CINEMA DEI GIUSTI - “PERCHÉ NOI DUE ABBIAMO IN COMUNE UNA COSA CHE TUTTI CI INVIDIANO E BRAMANO. VUOI SAPERE COS’È?”,“IL CAZZO”. ECCO LA SERIE MAGARI PIU’ LENTA MA PIU’ STRACULT DELL’ANNO: “COPENHAGEN COWBOY” DI NICOLAS WINDING REFN – TRA SERIAL KILLER, PANETTI DI COCA, RICCHI VAMPIRI, MAIALI E BOSS RUSSI DOMINA, OVVIAMENTE, IL CAZZO… - VIDEO


     
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     Marco Giusti per Dagospia

     

    copenaghen cowboy copenaghen cowboy

    Rosso. Blu. Non pensate che il rapporto madre-figlio sia il massimo. Come spiega il padre al figlio serial killer nella serie magari più lenta, ma anche più stracult dell’anno, “Copenhagen Cowboy” di Nicolas Winding Refn ("Valhalla Rising", "Drive"), Netflix: “Perché noi due abbiamo in comune una cosa che tutti ci invidiano e bramano, il simbolo assoluto del potere che ci ha dato Nostro Signore.

     

    Vuoi sapere cos’è?” – “No, grazie” – “Il cazzo”. Ci siamo. La protagonista della serie, la Miu di Angela Bundalovic, è una ragazza depressa, che gira chiusa in una tutina blu con righine rosse nei peggio posti frequentati dalla peggiore feccia di gangster di Copenhagen, albanesi, cinesi, russi. Ricercatissima, perché compie miracoli, resuscita neonati, ti toglie il mal di testa, ma può anche essere letale. Non parla quasi mai e non si capisce bene da dove venga. Anche se a un certo punto alla pessima sorella di un violento pappone albanese, l’Andei di Ramadan Huseini, che vuole restare incinta e le ha fatto troppe angherie, le dice “A sette anni sono stata rapita dagli alieni e fra 30 secondi qui tutto andrà a fuoco”.

     

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    Non ne sapremo molto di più. Ma scatena molti maschi. Il padre del serial killer, un biondone vanesio mezzo vampiro le propone “Vuole vedere il mio cazzo? E’ un grande patrimonio culturale” Risposta: “No grazie”. Il signor Chiang, l’incredibile Jason Hendil-Forssell, che è pazzo di lei perché gli ha tolto il mal di testa, eliminato un boss russo avversario, portato una valigia piena di panetti di coca, e fatto ritornare a galla l’appetito sessuale, le propone una vita insieme.

     

     

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    Non fa per lei. Miu gira da un regno della malavita copenhaghese all’altro, una casa piena di ragazze sfruttate dal pappone albanese e dalla sorella coatta con orrendo marito scopatore, certo Sven, che fa versi da maiale (Oink Oink), un ristorante cinese dove al pian terreno, pieno di maiali, vengono smaltiti i cadaveri ingombranti del potente signor Chiang, lo studio di un avvocato russo che sa molti segreti, il Miroslav di Zlatko Buric (già visto in “Pusher” e in “Triangle of Sadness”, dove è l’oligarca russo Dimitri), la villona dei ricchi vampiri danesi dove fanno base il killer biondo, il Nicklas di Andreas Lykke Jorgensen, grande villain della serie, la madre cattiva, il padre depravata (“dove sono le mie mutande di pelle?”), con la stessa faccia senza espressioni. Ma sappiamo che è buona, che vuole vendicare la sua amica Simona uccisa tra i maiali da Nicklas, vuole riportare la bambina rapita da Chiang alla madre, la Mamma Huld di Li Lil Zhang, e vuole combattere con le forze del male.

     

    Nelle sei puntate capita di tutto, ogni volta arrivano folli personaggi con battute sempre degne di nota. Non siamo ai livelli dell’ultimo meraviglioso Twin Peaks di David Lynch, ma Nicolas Winding Refn è ambizioso e cerca di far qualcosa di analogo, libero e visivamente impressionante. Lo è. Magari rimane lento. Ma il rosso e il blu dominano quasi tutte le scene, come dominano i maiali (oink oink), i maschi brutali e domina, ovviamente, il cazzo.  Sei puntate su Netflix.

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