Marco Giusti per Dagospia
Robin Hood – L’origine della leggenda di Otto Bathurst.
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Scordatevi tutti i vecchi Robin Hood che avete visto, da quello superclassico e sorridente di Errol Flynn immerso nel Technicolor della Warner, a quello forse definitivo della Disney con Sir Bliss serpente, da quello noioso, ahimé, targato Ridley Scott con Russell Crowe e Cate Blanchett, a quello vecchio e commovente di Richard Lester con Sean Connery con Audrey Hepburn suora. Magari qualcosa rimane di quello, non male, con Kevin Costner e Morgan Freeman che fanno già una coppia bianco-nero in quel di Nottingham.
Ma questo nuovo Robin Hood – L’origine della leggenda, diretto da Otto Bathurst, regista inglese di nobili origini che si è fatto le ossa con la serie di culto Peaky Blinders, scritto da Ben Chandler e David James Kelly e prodotto da Leonardo Di Caprio, è davvero il massimo della caciara del modernariato a tutti i costi e della rilettura politica attuale.
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Qui volano dappertutto le frecce anti-Brexit e anti-Trump di un Robin ragazzino, interpretato dal giovane Taron Egerton, e del suo mentore, un Little John nerissimo, interpretato da un Jamie Foxx che pensa ancora di essere Django, che ha un suo conto personale da regolare con la Chiesa Cattolica, il perfido F. Murray Abrahms, e con il potere inglese dei lord segretamente in combutta con il mondo arabo per affamare il popolo, rappresentato da uno Sceriffo di Nottingham, interpretato da un bravissimo Ben Mendelsohn, che ancora soffre per un’infanzia in orfanatrofio molestato dai preti.
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E non finiamo qui. Mettiamoci anche una Lady Marion, interpretato dalla bella figlia di Bono, Eve Hewson, che, pensando Robin defunto nelle crociate, si è risposato con certo Will, Jamie Dornan, politicante laburista che ha fatto però un gran lavoro tra la classe operaia, un Frate Tuck, interpretato dal comico australiano Tim Minchin, che è forse quello più simile ai tanti Tuck dello schermo.
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Nella voglia di rendere tutto moderno e politico, le crociate sono viste esattamente come le azioni di guerra in Iraq, con gli arabi che lanciano frecce tipo mitragliatrice, Nottingham è una megalopoli dove il perfido Sceriffo, spalleggiato dal potere della Chiesa Cattolica, sfrutta il popolo che lavora in miniera. Robin torna un po’ stordito dalle crociate per scoprire che gli hanno rubato tutto, la donna, la casa, perfino i mobili. Per fortuna ha con sé Little John-Django, che non è affatto il suo schiavo di guerra, ma la sua vera mente politica che lo guida nella vendetta per riprendersi tutto.
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Sarà John a fare di Robin una sorta di Zorro, Conte di Laxley nella vita normale, pronto a entrare nella sala di comando dello Sceriffo, e Robin Hood quando, con mascherino alla Ninja, si butta sugli espropri proletari. Che dire? Io adoro i vecchi Robin Hood. Non è facile farmi passare questi personaggi che sembrano vestiti Prada e si muovono in una Nottingham quasi moderna, con tanto di persiane verde di alluminio, come i veri personaggi della mia infanzia. Jamie Foxx è ottimo, ma è Django e non Little John.
Ben Mendelsohn, che ha ancora un po’ di cattiveria alla Basil Rathbone, è perfido al punto giusto. Eve Hewson bamboleggia e Taron Egerton non è troppo credibile come Robin – Zorro. Inoltre, quando si allena, spara frecce contro una serie di opere d’arte che a noi italiani, penso, possa fare un certo effetto. E la foresta di Sherwood quando arriva? Si vede, per carità, ha un buon ritmo fracassone, non piacerà alla May, ma non so se ne avevamo davvero bisogno. In sala dal 22 novembre.
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