Marco Giusti per Dagospia
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È morto Stalin! Viva Stalin! Stanchi del molto biondo di Chiara Ferragni? Dei red carpet con le star di Temptation Island? Dei critici fofiani? Dei melo portoghesi di tre ore? Il vostro film è State Funeral di Sergei Loznitsa, due ore di riprese dei funerali di stato del compagno Joseph Stalin montati con materiale inedito di 30 operatori.
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Non un documentario, non una fiction, quasi una installazione d'arte, perché Loznitsa costruisce le sequenze alternando colore e bianco e nero, ricostruendo un sonoro e delle voci in parte vere in parte provenienti chissà da dove. Ci sono i discorsi funebri di Molotov e Berya, si intravede Togliatti, Mao, i cinesi, si sentono i discorsi nelle fabbriche in lutto, ma soprattutto assistiamo al flusso di una massa sterminata di persone, soldati, ufficiali, paesani di ogni provincia sovietica mentre trionfa ovunque l'immagine baffuta di Stalin e la sua bara aperta rossa.
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Oltre al clamoroso risultato storico e visivo dell'evento che Loznitsa ha riportato in vita, un po' come il Peter Jackson del documentario sul centenario della Prima Guerra Mondiale, State Funeral, come il precedente Austerlitz, sembra cercare tra i mille volti che ci scorrono davanti un punto di vista che offra una chiave. La chiave risiede forse nelle didascalie finali che ci ricordano i 50 milioni di morti causati da Stalin e sul successivo processo di destalinizazzione del paese a opera di Kruscev. Ma la grandezza del film è nella sua bellezza narrativa di montaggio di immagini e suono, nel lavoro sui volti dei tanti e il volto, sempre uguale da icona, del capo morto. Difficilmente troverete qualcosa di simile al cinema. Purtroppo non è in concorso.
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