Marco Giusti per Dagospia
The Legend of Tarzan di David Yates
the legend of tarzan
America’ facce Tarzan! Arieccolo l’eroe della jungla attaccato alle sue liane in mezzo alle scimmie. Tutto girato in studio in Inghilterra, ovviamente. Con animali ricostruiti digitalmente, ovviamente. Tanto che si punta più sulle grazie della bella Margot Robbie come Jane che sul nuovo Tarzan dell’aitante ma un po’ inespressivo Alexander Skarsgaard, figlio dello Stellan attore strepitoso di Lars Von Trier, alle prese con leoni e coccodrilli. Ve lo dico subito. Malgrado avessi una grande voglia di vedere le nuove avventure di Tarzan, questo The Legend of Tarzan, diretto da David Yates, il regista inglesissimo degli ultimi quattro Harry Potter, scritto da Adam Cozar e Craig Brewer, è davvero molto, molto deludente.
Non a caso è stato massacrato dalla critica in America, “semplicistico, condiscendente, inerte” scrive il “New Yorker”, “sembra che un cane si sia mangiato una parte della sceneggiatura”, scrivono altri. E non a caso è stato battuto dal pesciolino Dory alla sua terza settimana di programmazione.
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Non lo salvano, purtroppo, né queste meravigliose scimmie che sembrano vere e che ci riportano intatto il “Tarzan of the Apes” di Burroughs almeno come iconografia (beh, questo funziona), né un cast prestigioso che riunisce anche Christoph Waltz e Samuel L. Jackson al punto che sembra un Congo Unchained (non è mia…).
Ma la sceneggiatura fa acqua da tutte le parti e tutto è troppo ravvicinato per essere credibile. E l’idea di alternare la nuova avventura di Tarzan, cioè il suo ritorno in Congo dopo otto anni per salvare le tribù sue amiche dallo schiavismo di Re Leopoldo del Belgio, con i flashback sul passato di Tarzan, poteva anche essere buona, ma non funziona narrativamente per l’accroccone del racconto.
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Proprio perché tutto è frammentato e buttato via. E poi, Tarzan che dopo otto anni torna nella giungla e si mena con il gorilla è un momento ridicolo. Come se Totti dopo otto anni tornasse all’Olimpico e volesse segnare un goal (magari lo farà). Notevole invece quando Tarzan vola sulle liane e allunga le mani come il lupo mannaro americano a Londra per aggunatre Jane. O come quando sale sull’albero solo tirnadosi su con un braccio (eh….).
Interessante anche l’idea, assolutamente pro-Brexit, che gli inglesi difendono i poveri africani, anzi Lord Clayton detto Tarzan assieme al suo amico americano, mentre gli europei capitalisti cattivi, incarnati dal perfido Christoph Waltz, vogliono solo sfruttare le risorse del paese, trafficare in schiavi e portar via diamanti.
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Perfida UE. Waltz è ottimo come mega-cattivo, Samuel L. Jackson sprecato come americano amico di Tarzan che si affanna a stargli dietro nella giungla (ma ’ndo va?), Djimon Hounsou come capo Mbonga è favoloso, ma avrebbe avuto bisogno di un film tutto suo, Margo Robbie e Alexander Skarsgaard un po’ deludenti, troppo figurine. Quasi meglio Andie McDowell e Christophe Lambert nel Greystoke di venti anni fa.
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Grande la nostalgia dei vecchi Tarzan, non solo dei classici con Johnny Weissmuller, ma anche di quelli con Lex Barker e Jock Mahoney, per non parlare del Tarzoon l’onta della giungla di Picha animato dai belgi o degli sketch con Franco e Ciccio, Vianello e Mondaini, perfino dei miei Tarzan di Stracult con Enzo Salvi e Lillo e Greg. Detto questo, insomma, Tarzan è sempre Tarzan, quindi si vede. E risentire l’urlo di Tarzan, anche se non credo proprio sia quello originale dei primi film, è sempre uno spettacolo. In sala dal 14 luglio.