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    DAVVERO SONO MORTI GLI ANNI NOVANTA? – FORSE SÌ, MA ERANO DUE ANNI NOVANTA DIVERSI – LUKE PERRY E KEITH FLINT NON ERANO COMPLEMENTARI, MA ANTITETICI, SIMBOLI DI DUE IMMAGINARI CHE SI ESCLUDEVANO E SI DISPREZZAVANO. IL MAINSTREAM CONTRO L’INDIE, LA CALIFORNIA CONTRO IL BIG BEAT DA RAVER – CHI SI DEPRIMEVA CON COBAIN O SI COLORAVA I CAPELLI COME IL LEADER DEI PRODIGY AVEVA IN CAMERETTA UN POSTER DI DYLAN? – VIDEO


     
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    Francesco Prisco per www.ilsole24ore.com

     

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    The day the Nineties died. Il giorno in cui morirono gli anni Novanta: la grande tentazione è bollare esattamente così il 4 marzo 2019, data comune di morte per Luke Perry, il Dylan della serie Tv Beverly Hills 90210, e Keith Flint, front leader dei Prodigy, rispettivamente dipartiti a 52 e 49 anni d’età.

     

    Tentazione suggestiva cui è meglio non cedere, perché ingannevole: gli anni Novanta non erano infatti Luke Perry e i Prodigy, ma Luke Perry o i Prodigy, il bel maudit televisivo contro il diavolo linguacciuto del big beat, pezzi di immaginari antitetici, universi paralleli che si escludevano, talvolta si ignoravano, più spesso si disprezzavano.

     

     

    Sognando (di bruciare) la California

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    Il mondo di vent’anni fa funzionava più o meno così: le ideologie magari erano in stato di decomposizione, le contrapposizioni decisamente no. Si era ragazzi e si doveva stare da una parte oppure dall’altra, con rarissime eccezioni «terziste», non troppo comprese dai militanti dei due schieramenti contrapposti.

     

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    Perché di giovedì sera o ti sintonizzavi su Italia 1 sognando la California dei figli di papà con immancabili carrellate sulle vetrine Gucci e Ralph Lauren o uscivi a tirare tardi con una birra in mano, sognando di farne una molotov per dare fuoco a quelle stesse vetrine sul beat di Firestarter.

     

    Mainstream vs. controcultura

    Beverly Hills 90210, che vi piacesse o meno, era un prodotto mainstream, generalista quanto bastava per accaparrarsi una prima serata settimanale dell’era pre-streaming e pre pay-tv. I Prodigy, che vi piacessero o meno, erano controcultura, musica alternativa, roba da rave party prodotta da un’etichetta indie, la Xl Recordings che, qualche anno più avanti, avrebbe scoperto Adele.

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    E quanto ci sembra lontano quel mondo, a considerare la distanza che intercorre tra la musica di Adele e quella dei Prodigy, ma soprattutto il significato che nel frattempo, qui in Italia, ha assunto il termine indie.

     

    Sia chiaro: i Prodigy non erano l’unico pezzo di immaginario alternativo anni Novanta, perché già c’erano stati i Nirvana e l’ondata grunge, c’erano il Brit pop di Blur e Oasis, il crossover di Red Hot Chili Peppers e Rage Against the Machine, gli intellettualismi dei Radiohead e l’ortodossia hard & heavy, ma un po’ più a sinistra delle finezze trip hop trovavi Flint e compagnia danzante che contavano eccome.

     

     

     

     

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    La linea gotica e il poster di Dylan

    La morte è per definizione una grande livellatrice, lo sguardo storicizzante tende spesso ad accomunare fenomeni in contrapposizione, ma guai a dimenticarsi che la storia si nutre di conflitti che possono pure essere guerre di religione, che c’è un «al di qua» e un «al di là» della Linea Gotica. Dietro la quale «sa scegliersi la parte la mia piccola patria», come recitava il testo di una celebre canzone del 1996.

     

     

     

     

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    Probabilmente nota a chi all’epoca ascoltava i Prodigy, ma ancora più probabilmente ignota a chi in cameretta teneva appeso il poster di Luke Perry. Chi la conosce sa che c’è un solo Dylan buono. E di sicuro non è il personaggio di Beverly Hills 90210.

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