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    BOLOGNA COME ROMA, SUI FINANZIAMENTI ALLE SCUOLE MATERNE PRIVATE NUOVA SFIDA DA PD-PDL CONTRO SEL E M5S


     
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    Michele Smargiassi per "La Repubblica"

    Virginio MerolaVirginio Merola

    I banchi (di scuola) possono far saltare il banco (della politica). Domenica i bolognesi decideranno se è giusto che il Comune finanzi con un milione di euro all'anno ventisette scuole materne private (di cui 25 cattoliche); ma le urne del referendum su una questione apparentemente civica sono molto più calde, perfino più di quelle delle concomitanti comunali di Roma.

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    Il sindaco Virginio Merola l'ha capito al volo: «Non permetterò che Bologna faccia da cavia per un esperimento politico nazionale». Di che parla? Ma è lampante. Se si guarda lo schieramento in campo, quello di Bologna è il primo voto nella stagione delle larghe intese: Pd e Pdl da una parte (opzione B, difesa delle convenzioni con le paritarie), Sel e 5Stelle dall'altra (opzione A, soldi solo alle materne pubbliche). Governissimo contro opposizione.

    Non è un caso che il governo stesso, nella persona del ministro per l'Istruzione Maria Chiara Carrozza, fa irruzione nella disputa bolognese schierandosi: «L'interesse mio e del Ministero è appoggiare gli accordi che vedono il ruolo delle paritarie per coprire tutti i posti per i bambini».

    NICHI VENDOLANICHI VENDOLA

    «Da un mese il senso di questo voto è cambiato», lamenta anche Stefano Zamagni, l'economista cattolico che guida il fronte antireferendario; intende che le elezioni politiche e quel che ne è seguito hanno trasformato una battaglia cittadina sul sistema scolastico in un test nazionale che mobilita gli umori e i malumori della nuova, liquida geografia politica italiana.

    Lo scontro tra Merola e Nichi Vendola lo dimostra. È «vergognosa », per il sindaco, l'invasione di campo del governatore della Puglia, regione che «prevede i finanziamenti alle paritarie». «Non sono il dittatore della Puglia, spesso le mie opinioni non coincidono con le scelte del mio Consiglio regionale», abbozza il leader di Sel, e in una lettera a Repubblica avverte: «Bologna rischia di essere il campo di un gioco al massacro».

    ROMANO PRODIROMANO PRODI

    La temperatura sale, lo scontro si fa politico, l'alleanza in Comune vacilla, «Merola vuole cacciare Sel dalla giunta», denuncia il vendoliano Gian Guido Naldi, e il sindaco non fa molto per smentirlo: «Che sinistra è quella che ha un'idea di servizio pubblico che neanche a Cuba?».

    francesco guccinifrancesco guccini

    Nel Pd non si registrano illustri ammutinamenti alla linea ufficiale, ma l'incognita è la reazione del suo elettorato, sottoposto da un mese allo stress di un'alleanza difficile da digerire, tentato di inviare un messaggio "di sinistra" ai vertici del partito. «La vostra gente vota A, tornate a bordo, cazzo!», è il sarcasmo di Ivano Marescotti, attore-portabandiera dei referendari.

    Neppure i richiami al merito sembrano raffreddare gli animi. Facendo soffrire i referendari, Romano Prodi si schiera pragmaticamente per l'opzione B: «Perché bocciare un accordo che ha funzionato bene per tanti anni?», ma trova sul fronte opposto un amico fraterno, Francesco Guccini, schierato per «una scuola dell'infanzia pubblica laica e plurale».

    Difficile mantenere locale la disfida delle materne, quando entrambi i fronti mobilitano condottieri di rinomanza nazionale, più eclettici quelli sotto le bandiere dell'A (da Rodotà a Scamarcio, da Strada a Hack, da Fo alla Golino), più potenti quelli del B, a partire dal presidente della Cei Bagnasco, la cui scesa in campo ha il pregio di chiarire che la battaglia per le scuole paritarie è in realtà una battaglia per le scuole cattoliche.

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    Il cui argomento principe, la "libertà di scelta educativa", potrebbe però rivelarsi un boomerang a Bologna, dove centinaia di famiglie che vorrebbero iscrivere i figli alle materne comunali di nota eccellenza restano escluse dalle liste e vengono dirottate (pagando rette costose) sulle materne confessionali: «Dov'è la libertà di scelta di queste famiglie?», incalza Stefano Bonaga, portavoce dell'A, in un forum a Repubblica.

    «Colpa dello Stato che non apre abbastanza scuole a Bologna», para il colpo Zamagni, ma annuncia che «dopo il voto, bisognerà rivedere i termini della convenzione». Nelle piazze, la trasversalità del fronte B (Pd, Pdl, Lega, Udc, Curia, Cl, Cisl, cooperative bianche e rosse, commercianti) è imponente: gazebo, volantini, slogan efficaci: «B come Bambini», «B come Bologna», e anche come Berlinguer, inteso come Luigi, padre della legge sulle paritarie, ma che citato per solo cognome fa il suo effetto nell'elettorato ex-rosso.

    Coi referendari, invece, un po' di Cgil, Fiom, Cobas, la scuola di Barbiana di don Milani, gli ultras del Bologna calcio, ma soprattutto la sinistra dispersa che in un mese di passione si è aggrappata a Stefano Rodotà, primo firmatario del referendum. Tutto sommato una minoranza: lo scontro, sulla carta, sembra impari. Ma la fantasia epica del collettivo di scrittori Wu Ming forgia l'arma che galvanizza il fronte laico: «Anche gli spartani erano solo trecento. Domenica benvenuti alle Termopili, e che il cozzare del ferro produca tante scintille».

     

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