Claudio Tito per la Repubblica
Un tempo le avrebbero chiamate le "riserve della Repubblica". Adesso, più prosaicamente, li chiamano «ancore di salvezza». Da utilizzare nella prossima primavera, dopo le elezioni, per agganciare il Paese e evitare che vada alla deriva. In pubblico nessuno ne parla. Ma negli incontri riservati in moltissimi fanno i loro i nomi per un futuro governo: Romano Prodi e Giuliano Amato.
GIULIANO AMATO E ROMANO PRODI
Il Professore è tornato ad essere la boa intorno alla quale ruota il centrosinistra. Il giudice costituzionale è la carta segreta che Silvio Berlusconi sta inserendo nel suo personale mazzo di carte. Un destino comune che sembra riportare i "due cavalli di razza" a galoppare parallelamente.
La premessa è semplice. Il risultato delle urne difficilmente offrirà certezze. Anzi, più probabilmente i tre poli che prima si contenderanno i seggi, dovranno poi disarticolarsi e ricomporsi per provare a formare una maggioranza. «So bene - diceva ad esempio martedì scorso Matteo Renzi - che con questa legge elettorale torna il tempo delle mediazioni, dei compromessi. E io infatti ho fatto un passo indietro sulla premiership. Chi guiderà il governo, lo vedremo dopo». Una riflessione che attraversa tutti i palazzi della politica.
prodi renzi
L' interrogativo è sempre lo stesso: chi può essere il punto di mediazione? Chi può presentarsi a Bruxelles con credibilità e magari trattare per evitare la manovra correttiva che la Commissione ci sta già chiedendo? E in tutti i palazzi della politica queste domande conducono dritto dritto a tre nomi: Mario Draghi, Romano Prodi e Giuliano Amato. Il primo però ha già fatto sapere di voler concludere il mandato alla Bce, ossia resterà a Francoforte fino al 31 ottobre 2019. Non ci pensa proprio di infilarsi nelle paludi della politica italiana. Gli altri due, invece, sono diventati - al di là delle loro volontà - uno dei principali oggetti di discussione.
gianni letta
Anche perchè i segretari dei principali partiti hanno già ricevuto un messaggio informale da parte del Capo dello Stato: in caso di stallo non nascerà un "governo del presidente", le forze politiche dovranno assumere la responsabilità delle scelte da compiere. Basti allora pensare a quel che solo un paio di giorni fa il Cavaliere confessava ad un gruppo di fedelissimi ricevuti ad Arcore: «Io spero di essere in campo, ma non sarò comunque io il presidente del consiglio.
Certo, se saremo autosufficienti, potremo scegliere liberamente. E in quel caso ci sono sicuramente Gianni (Letta), Paolo (Romani) o Antonio (Tajani)». Ma se il centrodestra, come avvisano i sondaggi, dovrà chiedere i voti anche altrove, allora il discorso cambia. Anzi, per il capo di Forza Italia la prospettiva delle larghe intese, è quella più probabile. «Se ci fosse bisogno di un esecutivo da "Grande Coalizione" come è stato e forse sarà ancora in Germania, potremmo convincere il Pd solo lanciando un personaggio che vada bene a entrambi. Una figura tipo Amato, che io stimo e che loro non possono bocciare».
GIULIANO AMATO
Del resto, il Cavaliere non ha mai nascosto il suo apprezzamento nei confronti del Dottor Sottile: nel 2015 era la sua prima scelta per il Quirinale e pensava che proprio sulla figura dell' ex premier ed ex vicepresidente della Convenzione europea, potesse concretizzarsi il patto del Nazareno. Che invece si sgretolò con l' elezione sul Colle di Sergio Mattarella.
Anche nel centrosinistra hanno già iniziato a usare il pallottoliere. Per contare i seggi che possono vincere e, soprattutto, quelli che possono perdere. Se davvero le alleanze si cristallizzeranno intorno ai reciproci "niet" di Pd e Mdp, il problema si porrà a urne chiuse. Il nome del Professore sta diventando uno dei principali argomenti dei conciliaboli tra "big" e anche tra i "peones" che spesso danno forma più esplicita alle speranze che i leader coltivano in segreto.
mario draghi
I ragionamenti sono uguali e contrari rispetto a quelli di Berlusconi. Per convincere i dem e gli ex "scissionisti" bisogna trovare un candidato che sappia «mediare» e che possa rappresentare un «compromesso». In particolare se questo tipo di esecutivo dovesse andare alla ricerca di voti in libera uscita tra i banchi centristi o del Movimento 5Stelle.
Basta allora sentire cosa dice Michele Ragosta, un parlamentare di Campo progressista, per capire il clima che si respira: «Può essere che ci si ritrovi tutti dopo il voto su una figura alta come Prodi». O un moderato come Giacomo Portas: «Per me Renzi dovrebbe fare il segretario e Prodi unire come candidato premier». Il derby dei "cavalli di razza" ha preso il via.