Antonio D’Orrico per Sette – Corriere della Sera
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Truman Capote scrive: “Un ragazzo che vive all’estremità opposta del villaggio sostiene di essere stato attaccato da un licantropo. Graziella dice che in passato ci sono già stati dei lupi mannari a Taormina…In ogni caso l’opinione generale è che non abbiamo nulla da temere, almeno fino alla prossima luna piena”.
È una lettera del 7 luglio 1950 dalla Sicilia contenuta nel bellissimo “E’ durata poco, la bellezza” (Garzanti, mio attuale libro del cuore), Graziella era la ragazzina non ancora ventenne che faceva le pulizie e cucinava per Capote. Siccome indossava sempre lo stesso vestito (“tenuto insieme con le spille da balia”), lo scrittore gliene comprò uno nuovo. Ma lei non lo metteva, Capote le chiese perché. Rispose: “Ma è il vestito buono e devo tenerlo da parte per le occasioni importanti”. Due settimane dopo Capote scrive: “Graziella si è presentata al lavoro con un occhio nero, un braccio bendato nel punto in cui si è beccata una coltellata e lividi blu e nero sparsi per tutto il corpo. Suo fratello l’ha picchiata – secondo lui, Graziella va troppo spesso alla spiaggia”. Capote sbrocca: “Sotto sotto, gli italiani non sono altro che negri”. Fine della storia di Graziella. Pensatela, se passate da Taormina.
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