Alberto Mattioli per “Specchio - la Stampa”
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Se non ci pensa Dio ci penso io, cioè Eugenio Ghiozzi in arte Gene Gnocchi da Fidenza, uomo dal multiforme ingegno come Odisseo, che nei suoi primi 67 anni è stato, di volta in volta, calciatore, avvocato, musicista, cabarettista, attore, conduttore televisivo, scrittore, giornalista e chi più ne ha più ne faccia. È il titolo dello spettacolo di Gnocchi che va in scena il 24 luglio a Bormio per La Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi.
Gene, di che si tratta?
«Molto semplice. Il mio personaggio ha saputo che Dio è una frequenza quantistica, quindi ingaggia un elettricista per parlarGli tramite una vecchia radio. Ha bisogno di capire se Dio ha voglia di scusarsi oppure no».
Perché dovrebbe scusarsi?
«Facciamo l'elenco? Guerra, pandemia, monopattini scatenati per le strade, bitcoin, Elon Musk. Diciamo che magari non voglio le Sue scuse, ma qualche giustificazione dovrebbe comunque portarla».
Intanto lei imperversa anche in televisione, un'altra invenzione della quale qualcuno prima o poi dovrà pentirsi. A "Quarta Repubblica" com' è finito e come ci si trova?
«Ci sono finito dopo la mia esperienza con Floris, terminata perché non mi hanno rinnovato il contratto. Pensavo da un po' che la copertina classica avesse fatto il suo tempo. Meglio degli interventi nel corso della trasmissione, spiazzanti e brevi, massimo un minuto. A Porro l'idea è piaciuta e sono due anni che andiamo d'amore e d'accordo».
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Però fa un po' strano vederla in uno dei talk più destrorsi e populisti.
«Prendo in giro gli ospiti che ci sono lì, che rappresentano tutte le opinioni. Sì, all'inizio qualche perplessità l'avevo, poi ho visto che funzionava e che il pubblico apprezza».
Più faticoso fare battute in televisione o inventarsene tutti i giorni una per il "Rompipallone", il suo corsivo sulla prima pagina della "Gazzetta dello Sport"?
«No, è molto più difficile la televisione. Anche perché gli argomenti da qualche tempo sono sempre gli stessi: la pandemia, la guerra, poi la pandemia, poi di nuovo la guerra. Il "Rompipallone" va avanti ormai da quattordici anni, è diventato il mio divertimento quotidiano».
A proposito di pallone, quello vero: gioca ancora?
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«Purtroppo no. Ho una protesi al ginocchio. Mi sono convertito al tennis».
Tennis o padel?
«No, no, tennis, per carità».
Sembra di capire che sia d'accordo con Nicola Pietrangeli quando dice che il padel è il trionfo delle pippe.
«D'accordissimo. In sostanza, si tratta di buttarla di là. Nessuna finezza».
È meglio come tennista o come calciatore?
«Diciamo diverso. Come calciatore, ero un raffinato di piedi buoni. Come tennista, un pedalatore, uno che gioca da fondocampo».
Confessi che il calcio le piace ancora di più.
«Certo. Chi nasce calciatore muore calciatore».
Faccia allora i nomi di calciatori che le piacciono.
«Rivera, Platini, Zidane, Van Basten, Maradona quelli che potevano fare cose che agli altri non erano concesse».
Tutti pensionati, però. Uno in attività?
«Messi, allora».
Si gioca meglio oggi o ai tempi dei signori che ha elencato sopra?
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«Oggi sono tutti più fisici e più tattici. Infatti si allenano molto di più: quando io giocavo in serie D, si facevano tre allenamenti alla settimana, adesso sono sei o sette. Però mi sembra che il livello tecnico sia calato. Una volta gli scarsi erano l'eccezione, oggi sono quasi la regola».
Che differenza c'è fra uno sportivo e un tifoso?
«Lo sportivo riconosce i meriti dell'avversario, il tifoso no. Se la sua squadra perde, è subito complotto, congiura, arbitro venduto».
Dato che siano in tema di rimembranze, meglio la televisione di oggi o quella in cui ha debuttato lei?
«Io ormai la tivù la faccio da trentacinque anni, un'eternità. Iniziai nell'89 con Emilio, c'erano Zuzzurro & Gaspare, Teocoli, Orlando, Faletti. Una bella squadra di talenti, mi sembra. La differenza è che era una televisione molto scritta, e di conseguenza pensata. Anche a Quelli che il calcio le trasmissioni uscivano dalla scrittura, da lunghe riunioni per analizzare l'attualità della settimana. Mi sembra che oggi sia tutto più facilone, non c'è tanta voglia di inventare. I format sono sempre quelli, i reality, i giochi: molti adattamenti, poche idee».
Beh, i reality danno molta resa con poca spesa. E la gente li guarda.
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«Infatti. È tutta una chiacchiera su dinamiche sviluppate artificialmente, il tizio del Grande fratello 6 che tradisce la fidanzata con quella della Pupa e il secchione 8 ammetto di fare un po' fatica a seguirli».
Insomma, all'"Isola dei famosi" non andrebbe.
«Sì, se avessi bisogno di soldi per rifare la cucina o i bagni».
Qual è il personaggio televisivo di cui si sente di più la mancanza?
«Direi Raimondo Vianello».
Come mai?
«Perché era un fuoriclasse vero. Gli bastava alzare un sopracciglio per dare la svolta a una trasmissione».
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Il programma che farebbe volentieri?
«X Factor. Beninteso come giurato, anche se ho sempre la mia band».
E quello che rifarebbe?
«Mai dire goal. Mi sembra che in questo momento nel mondo del calcio ci sia bisogno di ironia e soprattutto di autoironia. Sono tutti così seriosi».
Ma la tivù la guarda?
«Tutta. Soprattutto Netflix».
Dell'overdose di talk show cosa pensa?
«Che ha ragione Confalonieri quando dice che vanno rinnovati. Poi ormai sono soltanto talk politici. Sì, poi ogni tanto qualcuno ci prova, come Carofiglio che ha rifatto Match di Arbasino. Solo che Arbasino era Arbasino e Carofiglio è Carofiglio. E, a parte questo, Arbasino metteva Bene contro Bonito Oliva o Montanelli contro Bocca. Oggi di personaggi così ne vedo pochi».
Domanda classica: Sanremo lo farebbe?
«Certo. In realtà lo rifarei, perché ne condussi uno con la Ventura. Per chi fa il mio mestiere è un traguardo».
D'accordo: rifarlo, ma come?
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«Mi piacerebbe un Sanremo che, per cercare di evitare le polemiche, le crea. Dunque, dichiarerei che vorrei una valletta eterosessuale anzi lesbica anzi bisessuale anzi fluida anzi gender per coprirmi su tutti i lati sarei attaccato da tutte le parti».
Ma poi valletta è politicamente scorretto.
«Vede? Coconduttrice, allora».
Magari l'immancabile influencer.
«Purtroppo è un mestiere in via d'estinzione per colpa della crisi demografica, come spiego nello spettacolo».
Spieghi anche a noi.
«L'Ocse ha stimato che ormai in Italia ogni mille abitanti ci sono cinquecento influencer, e di conseguenza in media ogni influencer ha un solo follower. Considerato poi che ogni follower vuole diventate influencer e che ricambi non ce ne sono perché non si fanno più figli, sempre l'Ocse prevede che presto ogni influencer avrà un unico follower: sé stesso. La stessa cosa, fatalmente, succederà anche con i gialli».
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I gialli?
«Sì, ormai in libreria e in televisione ci sono più commissari che omicidi. Il passo successivo sarà che i commissari si dovranno assassinare a vicenda per avere finalmente un caso su cui indagare. Come vede, è sempre colpa della crisi delle nascite e del mancato ricambio generazionale».
A proposito di libri: continua a scriverne?
«Sì, ormai sono una ventina. Iniziai nel '91 con una raccolta di racconti per Garzanti, Una lieve imprecisione, che vendette moltissimo perché tutti pensavano che fosse un libro comico e invece era serissimo. Ma si sa che scrivere un libro divertente è più difficile che farne uno drammatico.
Mi ricordo che all'epoca ci fu un episodio buffo. Un lettore di Napoli comprò il libro convinto che fosse quello di Giobbe Covatta. Quando si accorse dell'errore, mi scrisse per lamentarsi. Io gli mandai il libro di Giobbe ma, siccome costava più del mio, lui mi rispedì la differenza di prezzo. Ne è nata un'amicizia».
E l'ultimo?
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«È uscito da un paio di settimane, s' intitola Tennispedia - Tutto quello che dovreste sapere sul tennis spiegato da chi ne sa meno di noi (Pendragon). È dedicato alla cultura del tennis. Anche perché a forza di giocare, e non bene come gioco io, rischi di diventare una specie di ultras: se perdi, è sempre colpa della racchetta, delle palle, del campo, dell'arbitro».
Da scrittore di tennis, un ricordo di Gianni Clerici.
«Come lui non ne nasceranno più, nel bene e nel male. Anzi, sì: per me il nuovo Clerici è Stefano Semeraro della Stampa, al quale infatti ho chiesto la prefazione del libro».
Mettiamo che si rifaccia "Quelli del calcio". Scelga i tre politici da invitare subito.
«Il primo è Carlo Calenda. È quello che ha sempre la soluzione pronta per tutto, la ricetta per ogni problema. Rimetterebbe subito in carreggiata qualsiasi squadra in crisi di gioco».
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Il secondo?
«La seconda: ovviamente, Giorgia Meloni. Perfetta come ultras con il suo frasario in romanesco stretto. La manderei subito allo stadio con una sola missione: inc...rsi».
Il terzo?
«Beh, Danilo Toninelli sarebbe stato il non plus ultra, non tanto come politico quanto come raffinato intellettuale. Chiedergli cosa ne pensa del saggio di Thomas Bernhard su Il tunnel del Brennero, divertentissimo».
Capitolo confessioni. Il suo rimpianto più grande?
«Facile: non aver mai giocato in Nazionale».
E quello meno grave?
«Non aver mai giocato in serie A».
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E la soddisfazione?
«Aver lavorato con Teo Teocoli. Mi ha dato tanto. Di recente sono stato ospite dalla Toffanin che ha riesumato qualche pezzo in cui siamo insieme: non eravamo niente male».
Chi è stato il più grande umorista italiano di tutti i tempi?
«Achille Campanile. Anzi, no».
Allora chi?
«Ennio Flaiano. Anzi, Campanile. No, Flaiano. Beh, insomma, loro due».
Per finire il dubbio che ci attanaglia da sempre: ma a Fidenza la sua "erre" ce l'hanno tutti? «Tutti».
Quindi l'aveva anche Verdi, che di Fidenza era il deputato (anche se si chiamava ancora Borgo San Donnino)?
«Certamente. La mia è la "erre" di Verdi. Anzi, la "non erre" di Verdi».
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