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Evo Morales denuncia un 'colpo di stato' messo in atto da "gruppi violenti che attentano all'ordine costituzionale" e lancia un grido di allarme sulla "democrazia a rischio". Il presidente della Bolivia è intervenuto su Twitter dopo l"ammutinamentò di agenti di polizia che protestano contro il suo governo e contro il rischio di nuovi scontri nel quadro delle proteste contro la rielezione del presidente.
Il presidente boliviano ha denunciato stanotte di fronte alla comunità internazionale ed al popolo boliviano che "il piano di golpe fascista esegue atti violenti con gruppi irregolari che hanno incendiato la casa dei governatori di Chuquisaca ed Oruro e quella di mia sorella in quest'ultimna città".
Via Twitter Morales ha anche condannato l'attacco "codardo e selvaggio", "nello stile delle dittature militari", alla radio della Confederazione sindacale unica dei lavoratori contadini della Bolivia (Csutcb).
Il capo dello Stato ha anche rivelato che "gruppi organizzati" hanno preso il controllo dei media statali Bolivia Tv (Btv) e Red Patria Nueva (Rpn). "Dopo aver minacciato ed intimorito i giornalisti - ha concluso - li hanno obbligati ad abbandonare le loro fonti di lavoro".
In Bolivia si ribella anche la polizia. Settori della polizia boliviana si sono ammutinati da due giorni a Cochabamba e in altre città del Paese nel quadro di proteste di piazza contro il presidente Evo Morales, la cui recente conferma alla massima carica dello Stato nelle elezioni del 20 ottobre è respinta dall'opposizione. L'ammutinamento è cominciato venerdì pomeriggio nell'Unità tattica di operazioni di polizia (Utop) di Cochabamba e si è esteso nelle ore successive a settori di agenti di altri cinque dipartimenti.
In particolare alle unità di Sucre e Santa Cruz, roccaforte dell'opposizione. Durante la notte la ribellione ha raggiunto altre città, ma ha risparmiato La Paz, la capitale amministrativa del Paese. Ma un segnale preoccupante per il governo Morales è che gli ufficiali Utop a La Paz, che per settimane hanno sorvegliato la centralissima Plaza Murillo - dove si trova il palazzo presidenziale - si sono ritirati nei loro quartieri nelle ultime ore in evidente solidarietà con le proteste.
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Il ministro dell'Interno, Carlos Romero, ha accettato la principale richiesta di Cochabamba, esonerando il capo della polizia dipartimentale, Raúl Grandy, dicendosi fiducioso di poter superare il malessere attraverso il dialogo. Da parte sua il ministro della Difesa, Javier Zavaleta, ha escluso un intervento dell'esercito in questa crisi.
Sale la tensione, in Bolivia. Morales ha chiesto il dialogo con i partiti dell'opposizione che siedono in parlamento, ma ha escluso espressamente i potenti comitati civici regionali che gli si oppongono. Il leader dell'opposizione, l'ex presidente Carlos Mesa, ha immediatamente respinto il gesto di Morales. L'offerta è stata anche respinta da Ruben Costas, il potente governatore dello Stato orientale di Santa Cruz.
La protesta in Bolivia, nata dopo il controverso risultato che ha portato per la quarta volta Evo Morales alla presidenza, si estende. Polarizza e spacca il Paese. Tra indigeni e contadini, i meticci del sud, e impiegati, studenti, la classe media, bianca, del nord.
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Non è una solidarietà con chi grida alla frode e rifiuta il risultato elettorale. Piuttosto è la manifestazione di un disagio più profondo e generale. I poliziotti chiedono aumenti salariali, modifiche alle condizioni di lavoro: gli scontri li costringono a turni massacranti. Gli agenti chiedevano la rimozione del comandante regionale Raúl Grandi: alla fine il governo ha nominato un nuovo comandante, ha varato un "buono di lealtà", 430 dollari, e distribuito cibo. Ma è stato considerato solo un obolo.
Morales ha chiamato a raccolta i "movimenti sociali" che sono la base del suo Mas "per difendere il progetto" che dirige da 14 anni e ha parlato di "colpo di Stato". Da giorni non si vedono più poliziotti per le strade. Il presidente non si fida più, è deciso a schierare l’esercito. Finora ci sono stati 3 morti e 500 feriti.
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