Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera”
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Lontano dai palazzi, lontano dalle sale da té, lontano - anni luce - dalla sfavillante monarchia e anche dai grattacieli dove si gioca il destino della finanza mondiale. È una Londra molto diversa quella che racconta Gangs of London , serie che ha sorpreso e conquistato (anche un Bafta) e che oggi torna, con la sua seconda, crudissima stagione, in onda su Sky Atlantic (due nuovi episodi ogni mercoledì) e in streaming su Now. È la Londra meno visibile, criminale, guidata dalla ricerca del potere ad ogni costo, in cui le gang conquistano uomini e territorio attraverso il traffico di droga. Le velature sono pochissime, il male è esplicito, si vede a che punto l'uomo può arrivare.
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Puntuale è arrivato il paragone con Gomorra . «So che in tanti hanno fatto questo parallelismo, ma per quanto incredibile io non mi sono ispirato alla serie - spiega il regista Corin Hardy -. I paragoni possono essere tanti, penso anche a Peaky Blinders , perfino Il trono di spade ... per quanto ci riguarda siamo stati più ispirati da classici come Il padrino , o in generale le grandi saghe cinematografiche americane sul crimine. L'ambizione era fare qualcosa di epico, cinematografico ma anche realistico, nel mondo della Londra di oggi».
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Per raggiungere questo obiettivo, è stato necessario un imponente lavoro di documentazione: «Per dare vita a questo thriller che fosse però anche action e crime abbiamo fatto molte ricerche: volevamo storie che davvero fossero successe. Il risultato è la serie più spaventosa della tv». Eppure quasi tutti nel cast sono d'accordo nel ritenere che pur mostrando il male non ci sia il rischio di una «glorificazione dei cattivi».
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«È vero che gli sceneggiatori sanno rendere amabili questi personaggi anche se fanno cose terribili, ma restano dei gangster: se accetti di fare parte di quel mondo ci sono dei codici che devi accettare». Sope Dìrísù - interpreta Elliot, l'ex poliziotto sotto copertura - preferisce parlare di «sopravvissuti». «Sono tutti esseri umani che cercano di sopravvivere in una realtà in cui è difficile farlo. Puoi anche entrarci con i tuoi valori morali, ma poi ci pensa la vita a cambiarti e per ogni persona è molto difficile non tentennare».
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Bene e male che si intrecciano, che si fondono pericolosamente. «Cercare di portare un lato umano dentro un personaggio assolutamente cattivo è una grande sfida - commenta Narges Rashidi -. Ad ogni modo, sono tutte persone che non stanno bene, degli psicopatici». Waleed Zuaiter le fa eco: «Fa un certo effetto vedere che finisci per affezionarti a chi dovresti odiare: criminali, killer... Ma, in fondo, succede dai tempi del Padrino . Riesci a un certo punto a pensare che sono esseri umani con dei problemi e afferri le loro vulnerabilità, le verità nei loro comportamenti, anche da delinquenti. Fanno quello che fanno spesso per proteggere loro stessi e la loro famiglia: questo li avvicina a noi».
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Orli Shuka nella serie è Luan: «Sono stato completamente sorpreso dall'accoglienza della prima stagione. Anche persone che mai si erano avvicinate a un genere come questo sono diventate fan: riesce ad affascinare nonostante sia terrificante. Si può dire che il sottobosco di Londra è ancora più intricato e spaventoso ora». Michelle Fairley (Marian Wallace) conclude: «Molto di quello che mostriamo è basato sulla realtà. Credo che, in generale, il compito di ognuno di noi sia continuare nella ricerca di una morale che, necessariamente, cambia nel tempo».
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