Alessandra Muglia per www.corriere.it
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Un mercato da oltre 750 milioni di navigatori val bene un dietrofront. Nel 2010 Google uscì dal mercato cinese sbattendo la porta, per le crescenti restrizioni della censura imposta da Pechino. In un post, Big G accusò il governo di bloccare la libertà di parola, minacciare i dissidenti e promuovere cyberattacchi.
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Ora la società di Mountain View è pronta a tornare sui suoi passi con una versione «filtrata» del motore di ricerca che bloccherà siti e ricerche sui diritti umani, democrazia, religione.
La ha rivelato per primo il sito The Intercept, venuto in possesso di un documento interno che descriverebbe il progetto. Il suo nome in codice è Dragonfly e Google ci starebbe lavorando dall’inizio del 2017.
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Sarebbe un’app di Android (oltre il 95% dei cinesi che accedono a Internet utilizzano dispositivi mobili e Android è popolare del paese, con l’80 % della quota di mercato), che oscurerebbe alcune chiavi di ricerca e alcune fonti non gradite al governo cinese precisate in una «blacklist».
Tra i contenuti banditi ci sarebbero, per esempio, quelli di Bbc News e Wikipedia. La censura coinvolgerebbe diverse funzioni di ricerca: non solo testi, ma anche immagini.
La notizia è stata rilanciata dai principali quotidiani internazionali, in prima pagina sul Financial Times e sul New York Times.
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Il quotidiano Usa spiega che il progetto è già stato presentato al governo cinese e che il ritorno di Google in Cina non è imminente: In caso di via libera, Google potrebbe avere una propria versione cinese entro sei-nove mesi.
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