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renzi graziano delrio
Più che un giglio magico è un giglio girevole. Una sorta di maledetto fiore meccanico che si volta automaticamente come un girasole quando sente la voce alterata del suo padroncino e fa cadere i petali sgraditi, per sostituirli rapidamente con altri. Dopo neppure sei mesi di governo, Matteo Renzi ha già operato un robusto ricambio di personaggi, al limite della purga di Mao memoria, all’interno della cerchia stretta che ascolta e di cui si fida.
renzi e delrio
Non sono proprio petali caduti per sempre, ma diciamo che sono molto ammosciati, quelli rappresentati dai due sottosegretari Graziano Delrio e Luca Lotti. Volendo usare una metafora più religiosa che botanica, si può dire che sono entrambi da qualche settimana in purgatorio. L’ex sindaco di Reggio ha detto troppe volte la fatidica frase “così non si può fare” e nella testa di Pittibimbo non guida con sufficiente energia (o meglio, durezza) la complessa macchina di Palazzo Chigi.
Palazzo Chigi
Tanto è vero che il mite Delrio è dato in uscita, e già ci sarebbe la prossima collocazione: candidato (con vittoria sicura) alla presidenza della Regione Emilia-Romagna. Promoveatur ut amoveatur, una promozione che in realtà è una rimozione, perché tra Renzie e l’ex “fratello maggiore” Delrio è sceso il Grande Freddo. Graziano è troppo cauto e Matteo s’è stufato.
E con lui uscirà anche Mauro Bonaretti, Segretario generale della presidenza del Consiglio dei Ministri e uomo di fiducia dello stesso Delrio fin da quando era sindaco di Reggio Emilia. Stanno per liberarsi due posti chiave nella macchina amministrativo-politica, e sono già destinati a renziani più che fedelissimi.
RENZI AFFACCIATO ALLA FINESTRA DI PALAZZO CHIGI IN MAGLIETTA BIANCA
Lo stesso si deve dire del “fratellino” Luca Lotti, anche lui entrato nel cono d’ombra. Renzie non è contento del modo troppo “libero” in cui si muove il ricciolino che doveva essere il suo Gianni Letta portatile. L’occasione ultima di scontro è stata sui fondi pubblici dell’editoria, con Lotti che chiedeva nuove, costose regalie a giornali grandi e piccini e Renzie a urlare “basta” e a ricordargli che la linea politica la decide lui. Come dire: tu sei un mero esecutore, non t’allargare, bischero.
LUCA LOTTI
In corrispondenza con la disgrazia in cui sono caduti Lotti e Delrio, va invece registrato un insospettabile astro nascente, a Palazzo Chigi. E’ quello del sottosegretario con delega ai servizi Marco Minniti. L’ex Lothar di Massimo D’Alema ha saputo conquistarsi la massima fiducia del Capo, anche come consigliere politico. Insomma, per Matteuccio, Minniti sta diventando qualcosa di più del semplice erede di Gianni De Gennaro (che è già molto) su servizi e dintorni.
Nel giglio girevole di Palazzo Chigi tengono bene le quotazioni di Maria Elena Boschi. La madonnona delle Riforme sta mostrando carattere e abnegazione nella battaglia del Senato e questo, dal muscolare Matteo, è molto apprezzato. Quando lei parla, anche di temi lontani dal suo dicastero, lui l’ascolta sempre. Se ne fida e non se ne stanca, per ora.
MARIA ELENA BOSCHI
Si è invece un po’ stancato di un altro amico e consigliere della prima ora come Marco Carrai, l’imprenditore fiorentino che gli pagava la casa in affitto in centro a Firenze. Agli occhi del premier, il Carrai si muove troppo al confine tra affari e politica. Nulla di male, per carità, ma qualcuno deve aver spiegato a Renzie, fin dalla stagione delle nomine pubbliche, che l’attivismo del suo amico di gioventù rischia di procurargli guai o sospetti. Anche perché a tutti Matteuccio tiene a dire: “Io non sono ricattabile, io non sono uno che fa affari”.
Marco Minniti
Sarebbe però ingenuo pensare che per le faccende che riguardano l’economia e l’alta finanza il premier non abbia a disposizione un esperto nel giglio personale. Questa persona risponde al nome di Davide Serra, il finanziere con base a Londra che, per dire, gli ha presentato Francesco Caio e Claudio Descalzi, i nuovi capatàz di Poste ed Eni, durante una visita di Renzi sulle sponde del Tamigi – i due manager avevano casa a Londra.
giacomo lucibello e marco carrai
Serra, quello del famoso Fondo Algebris che diede battaglia in Generali (e a Scaroni), in questi mesi in cui Renzi è salito a Palazzo Chigi si è letteralmente inabissato. Non parla più, non si vede più, non esiste più. Ma c’è pur sempre il telefono, e quello, con l’amico Matteo, è sempre caldo.
Serra lo consiglia su tutti i temi principali, dalle privatizzazioni a ciò che chiedono gli investitori esteri per continuare a scommettere sul cambiamento italiano, e lo fa con grandissima discrezione. E’ talmente strategico, per Pittibimbo, che non gli viene rimproverato da Palazzo Chigi neppure lo scherzaccio di Caio, che ha subito fatto rinviare di un anno la privatizzazione di Poste facendo mancare 4 miliardi ai conti 2014 del povero ministro Padoan.
DAVIDE SERRA ALLA LEOPOLDA
Anzi, per dirla tutta, Caio ha fatto di “meglio”: anziché procedere alla privatizzazione di Poste (che il predecessore Sarmi avrebbe fatto subito) ha fatto fuori la prima fila dei dirigenti e ha chiamato un mezzo centinaio di consulenti per capire il pianeta Poste.
Ricapitolando, il 22 agosto il governo taglierà il traguardo dei sei mesi di vita e Renzie potrà dire di aver già quasi rottamato tre fedelissimi come Delrio, Lotti e Carrai, per legarsi sempre più alla Boschi, al para-guru Minniti e a Serra l’invisibile.
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