Alberto Mattioli per ''la Stampa''
Che pasticcio. E dire che le regionali nella Marche sembrerebbero la più classica delle partite, centrosinistra unito contro centrodestra unito, e i grillini spaccati addirittura in tre. Però se alla fine il derby si giocherà fra Maurizio Mangialardi, piddino, e Francesco Acquaroli, meloniano, la situazione è in realtà molto più complessa. Anche perché le Marche sono una strana regione, plurale fin dal nome, dove entrano in gioco molte variabili.
meloni acquaroli
Perfino, diciamo così, "etniche" con il nord di sinistra che detesta il sud di destra e viceversa, salvo unirsi nella critica all'"anconacentrismo" della Regione. Non solo: se la gara è quella tradizionale, l' esito potrebbe non esserlo. Sempre a sinistra dai tempi di Tangentopoli, stavolta le Marche guardano a destra. In casa Pd sostengono di essere sotto di cinque punti e di consolano pensando che prima del Covid erano 22, ma in realtà gli ultimi sondaggi parlano almeno di otto-dieci. Come dire: perdere una delle ultime regioni "rosse", più che una possibilità, è una probabilità.
Secondo le migliori tradizioni, il Pd ha fatto di tutto per mettersi nei guai da solo. La vicenda comincia con la sfiducia al governatore uscente, Luca Ceriscioli, accusato di aver mal gestito la ricostruzione post terremoto. Però Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e regista dell' operazione, voleva candidare la sindaca di Ancona, Valeria Mancinelli. Non ci è riuscito e nel frattempo Ceriscioli, a parte la costruzione di un ospedale inutile a Civitanova, costato 12 milioni e chiuso dopo tre settimane, ha gestito bene la pandemia, anche ribellandosi ai diktat contiani.
Quindi c' è chi ha proposto di ricandidarlo. Alla fine, dai veti e controveti è emersa la candidatura di Mangialardi, 55 anni, il sindaco rockabilly di Senigallia (a nord, ovviamente), dove si è inventato un festival musicale di successo dedicato agli Anni Cinquanta americani. Buon amministratore, bell' uomo, porta in giro per le Marche la sua cresta ingellatissima e piace alle professoresse democratiche non solo per ragioni politiche. Ammette: «Non è che io abbia avuto tutto questo afflato dentro il Pd» (traduzione di un papavero piddino: «Il partito è spaccatissimo»).
mangialardi
Però punta sulla competenza, su un programma di 86 pagine, sull' appoggio di 131 sindaci della regione e su Daniel Fishman, il mago delle campagne elettorali, che ha già portato al successo Bonaccini in Emilia. L' asso nella manica dovrebbero essere gli 8 miliardi del Recovery fund che il ministro Gualteri è venuto a promettere: «Perché le cose si fanno se ci sono le risorse», dice Mangialardi. E attacca: «Arrivano di continuo Meloni e Salvini a parlare di politica nazionale, ma io voglio discutere delle Marche. Acquaroli non ha un programma». Appunto: un aggettivo per il suo sfidante?
«Catapultato».
Comunque vada, però, l' impressione è che sia finita una fase storica, «quella cominciata nel '95, dopo Tangentopoli, quando con la benedizione di Francesco Merloni una parte della Dc che qui aveva sempre governato scelse il centrosinistra», racconta l' architetto Vittorio Salmoni dell' Istituto Olivetti, intellettuale che conosce bene le Marche e la loro storia. «Il sistema ha retto per un quarto di secolo, ma negli ultimi anni è andato in crisi per due ragioni. Prima: una gestione confusa della sanità. Seconda: il post terremoto. Non si possono avere quattro commissari in quattro anni, con 106 ordinanze che si contraddicono l' una con l' altra. In più, è in difficoltà il modello economico dei distretti, che ancora regge ma non produce più ricchezza come prima. Ormai siamo più vicini al Sud che al Nord».
mangialardi andrea orlando
Il M5s, si diceva, è uno e trino. Tre dei cinque consiglieri uscenti hanno fatto una lista di sostegno a Mangialardi. Un altro gruppetto, una che corre con Acquaroli. Quelli rimasti nel movimento hanno un candidato tosto, Gian Marco Mercorelli, accreditato di un 10-12%: non abbastanza per vincere, ma per far perdere il centrosinistra, sì (del resto gli aspiranti governatori sono tanti, otto, compresa l' antivaccinista e la candidata del filosofo Diego Fusaro, giusto per non farsi mancare nulla).
Per il centrodestra, ovvio, l' occasione è d' oro. Nello scacchiere nazionale, le Marche spettavano a Fratelli d' Italia.
Però Meloni non ha candidato chi tutti si aspettavano, l' ex sindaco di Ascoli (a sud, chiaro), Guido Castelli, definito «bravissimo» anche dagli avversari. «Perché? Lo chieda a lei», sospira lui, spiegando però che comunque vada a finire, «si è liquefatto l' abbraccio fra i moderati e il Pd».
A sorpresa, Meloni ha scelto un fedelissimo, Francesco Acquaroli, ex sindaco di Potenza Picena, ora deputato, un candidato seriale che ha già corso anche alle regionali precedenti e alle Europee. Un po' vago sui programmi, sa di essere in testa ma non si esalta: «Ce la metto tutta e basta. So' tranquillo». Molto fair play, anche. Un aggettivo per il "nemico" Mangialardi? «Simpatico». Del resto, un collega locale racconta che Acquaroli è un ossimoro: «Un fascista gentile».
meloni
In effetti sul fascismo c' è l' unica gaffe che lo riguarda, la partecipazione a una famigerata cena nell' anniversario della marcia su Roma, con fasci e slogan sul menù: «Passai solo a salutare, non ne sapevo niente e sfido chiunque a trovare una sola mia dichiarazione nostalgica», si difende lui, facendo capire nemmeno troppo velatamente che si è trattato del trappolone di qualche «amico» che non lo era davvero. «Pensi che l' altro giorno avevo un impegno elettorale al Passo del Furlo e non sono andato perché su una collina c' è ancora il profilo di Mussolini».
Intanto, sabato il dibattito fra i candidati alla Fondazione Capodarco di Fermo è stato abbastanza moscio, nonostante la verve di Enrico Mentana che moderava i già moderatissimi partecipanti. È chiaro che il 21 la notizia sarebbe non che il centrodestra ha vinto le Marche, ma che il Pd le ha perse. «Abbiamo venti giorni, possiamo recuperare - chiosa Romano Carancini, il simpaticissimo sindaco uscente di Macerata -. Però sì, lo ammetto: per la prima volta, la paura è tanta».