Alberto Anile per “il Venerdì di Repubblica”
ALBERTO ANILE
Benedetto Totò. A oltre mezzo secolo dalla sua dipartita si continua a scriverne tanto, tantissimo, e pure da parte di ammiratori insospettabili. Appena ieri era entrato nell'agone totoista uno storico come Emilio Gentile (Caporali tanti, uomini pochissimi, per Laterza) e ora esce per Marsilio San Totò, volume postumo di Paolo Isotta, professore emerito del Conservatorio di Napoli, mirabile critico musicale al Corriere della Sera, penna finissima e puntuta.
PAOLO ISOTTA - SAN TOTO
È un libro delle cui ultime fasi sono stato testimone. Conoscevo Isotta solo di firma; all'epoca in cui recensiva la lirica, declamavo i suoi pezzi a una ragazza che poi sarebbe diventata mia moglie, che li adorava. Isotta era per noi il più grande critico di musica classica vivente, dotato di una scrittura dotta e seducente unita a un'indiscussa sapienza musicale.
Molto tempo dopo, mi vidi citato in un suo pezzo su Totò; mentre all'estero mi conoscono per alcuni studi su Orson Welles, in Italia passo per essere un discreto esperto del Principe (dopo Goffredo Fofi, s'intende): mi sentii onorato e pensai che finisse li.
In seguito Isotta tornò a citarmi, in modo ancora più lusinghiero, e allora gli feci pervenire i miei ringraziamenti; mi arrivò immediatamente una mail in cui mi faceva sapere della «letizia» di essere entrato in contatto con me, confidandomi «una follia grande come una casa da me appena commessa»: stizzito per la mancata pubblicazione degli atti di un convegno su Totò a cui aveva partecipato, aveva deciso di scriverci un intero libro, ma il gesto, a lui che non era critico cinematografico sembrava ora quasi un atto di hybris.
toto' e le donne
LE BELVE IMPAZZITE
Mi misi a disposizione per eventuali consigli o correzioni: rispose che il testo era sostanzialmente chiuso, e che voleva evitare nervosismi ai redattori, «che oggi si fanno chiamare editor(s)», e che alla minima modifica sulle bozze sono capaci di trasformarsi in «belve impazzite». Piuttosto, gli avrebbe fatto piacere incontrare me e mia moglie a colazione, in una delle trattorie romane che prediligeva.
Isotta venne da Napoli, che aveva rischiato fino all'ultimo di essere in zona arancione; la pandemia, d'altra parte, lo spaventava poco («blandamente», mi scrisse). Ci vedemmo da Checco er carettiere, a Trastevere, con mascherine regolamentari che nella sala interna togliemmo subito perché eravamo gli unici clienti e avevamo un gran tavolo che dividevamo molto comodamente in tre.
paolo isotta
Conobbi così un personaggio singolarissimo, che nell'amato eloquio ottocentesco intercalava pezzi di napoletano antico e qualche sapidità popolare. Piccolo, rotondo, somigliava assai all'attore americano Wallace Shawn, e aveva un sorriso malizioso che compensava lo sguardo leggermente asimmetrico.
Parlammo di cinema (soprattutto con me), di musica classica (soprattutto con mia moglie), di giornalismo (con entrambi). E ovviamente di Totò: si rammaricava di non averlo visto a teatro, fortuna che suo padre aveva avuto.
UN PICCOLO DONO
Del libro ci fece vedere la copertina, un Totò elegantissimo in un'immagine rara donatagli da un amico scenografo, della quale andava fiero. Alla fine tirai fuori due volumi; il suo Verdi a Parigi, che mi feci autografare, e un mio libro totoesco fuori commercio che immaginavo non avesse.
isotta
Ne fu stupito e grato: lo aveva cercato ovunque, mentre la pandemia gli impediva anche di recuperarlo in biblioteca. Nei giorni successivi mi mandò altre e-mail, ringraziandomi per avergli fa. da “guida” nel continente Totò. «Proprio per questo», mi scrisse, «non ho voluto far vederti il testo quando era ancora correggibile da parte tua, perché non si mormorasse di un'intesa che andava oltre l'amicizia entrando nella complicità ripagata con l'elogio». Un uomo tutto d'un pezzo, si diceva una volta.
Ma quando, a fine anno, la bozza definitiva fu pronta, non resistette a offrirmelo in lettura e io non resistetti a farmelo mandare. Gli feci i miei complimenti, e gli segnalai un paio di imprecisioni.
A quel punto non solo ci davamo del tu ma eravamo arrivati a chiamarci "compari”. Ci aspettava a Napoli, a un pranzo in casa, quando la pandemia si fosse calmata. Il 2 febbraio mi chiese l'indirizzo a cui spedire il libro cartaceo, e fu l'ultima volta che ci scrivemmo. Dieci giorni dopo fu trovato esanime dalla signora che veniva a rassettargli casa, quasi coetaneo in morte del suo idolo: Antonio de Curtis se n'è andato a 69 anni, Isotta a 70.
I GIUDIZI SEVERI E GENEROSI
isotta
Mi aveva scritto: «Ti prego di non esser troppo severo. Non è che l'opera di un dilettante!». Alla faccia del dilettante, direbbe il Principe. San Totò è accurato, divertente, e contribuisce a liberare il più grande attore comico del Novecento dalla montagna di pressappochismi in cui è stato tumulato.
Isotta sa essere severo con i grandi (secondo lui Uccellacci e uccellini di Pasolini è il più brutto dei quasi cento film girati da Totò, e generoso con i deboli (trova un episodio minore come La macchina fotografica «delizioso, a tratti tenero», e ha ragione).
Paolo Isotta
La lingua è strepitosa, e lascia affiorare la sua dotta cattiveria, come nella digressione in cui tira le orecchie ai parvenus (o pezzenti sagliuti) che confondono il maggiordomo con il semplice cameriere («Ma i romanzi di Somerset Maugham o di Iris Murdoch non li ha letti nessuno?»).
Alla questione cruciale sulle radici artistiche di Totò, Isotta risponde tornando indietro fino alle Atellane anziché agli scampoli futuristi che gli ho sempre preferito. Però nel suo libro scrive una frase fulminante che mette d'accordo tutti: «Ciascun genio si crea i propri precursori». Chapeau.
Paolo Isotta con il libro paolo isotta PAOLO ISOTTA paolo isotta isotta isotta paolo isotta isotta fondazione 620x330 paolo isotta 1412525261 isotta Paolo Isotta