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    GUAI A TOCCARE I MAXI STIPENDI DEI GIOCATORI - UMBERTO CALCAGNO, PRESIDENTE DELL'ASSOCALCIATORI, TIRA LA PALLA IN TRIBUNA APPENA SI PARLA DI "SALARY CAP": "IL MONTE INGAGGI È DI POCO SUPERIORE AL 50 PER CENTO DEL BILANCIO DELLE SOCIETÀ. SONO I CLUB CHE FIRMANO. E I TOP PLAYER PORTANO BENEFICI. I PROBLEMI DEL SISTEMA SONO ALTRI: GIOVANI NON VALORIZZATI E SCOUTING SOLO ALL'ESTERO…"


     
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    Valerio Piccioni per "La Gazzetta dello Sport"

     

    umberto calcagno presidente assocalciatori 5 umberto calcagno presidente assocalciatori 5

    Quando si parla di sostenibilità del sistema calcio d'istinto viene subito da pensare ai maxi stipendi dei calciatori. Ma Umberto Calcagno, presidente dell'Aic e vicepresidente vicario della Federcalcio, contesta questa impostazione: «Lo dice il Report-Calcio, il monte stipendi, parliamo di stipendi, è di poco superiore al 50 per cento».

     

    Eppure si parla di una cifra vicina al 70 per cento per diverse società.

    «Una cosa sono gli stipendi, un'altra gli ammortamenti, bisogna chiarirlo».

     

    Tuttavia il sistema non ce la fa e una riduzione è inevitabile perché non finisca tutto a rotoli. Per questo si parla sempre più di salary cap.

    «Non ci si può accusare di scarsa sensibilità nei confronti del problema della sostenibilità. Le forme di salary cap sono diverse. Siamo totalmente a favore delle regole che aiuteranno la sostenibilità.

     

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    Noi sosteniamo sia il sistema di monitoraggio e controllo che si sta definendo in Federcalcio, sia quello che la Uefa farà scattare in campo internazionale. Il tema non è quello di far scappare chi vuole investire nel calcio. Per spendere, però, bisogna poterselo permettere».

     

    Ma resta il dato di compensi insostenibili.

    «Sono le stesse società che firmano. E noi siamo davvero preoccupati per i costi dei club».

     

    Le norme che regolano il sistema non producono rapporti di forza troppo favorevoli ai calciatori come per esempio la corsa ad andar via a parametro zero?

    «Io penso che il sistema vada ripensato a livello di progettualità. Non è una questione di norme. La verità è che prevale una totale assenza di stabilità, c'è un continuo mordi e fuggi persino nella scelta dei dirigenti che vengono cambiati in continuazione. Si preferisce sempre la strada più facile: andare all'estero, magari sfruttando i vantaggi fiscali del decreto "crescita", e depotenziare i vivai».

     

    E allora come se ne esce?

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    «La sostenibilità è fare degli investimenti. Sui vivai, sulla crescita dei giocatori selezionabili per la Nazionale, e perché no sulle seconde squadre. Perché, tranne la Juve, nessuno è riuscito a investire sulle seconde squadre?».

     

    Ma per innescare questi percorsi virtuosi non servirebbe anche una maggiore equità nella categoria dei calciatori?

    «I grandi campioni sono anche quelli che generano risorse. Oggi il top player è anche la possibilità dei benefici per le società anche fuori dal campo. Però certo, sono convinto che ci sia un problema di redistribuzione delle risorse nel sistema».

     

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    Quindi non solo un problema di quantità di risorse, ma anche di qualità degli investimenti?

    «Bisogna cambiare abitudini».

     

    In che senso?

    «Pensate allo scouting. Oggi lo scouting funziona soltanto all'estero. A metà degli anni 90 la Lega Pro aveva un mercato di 45 milioni di euro».

     

    Insomma, quando vi rivedrete nel consiglio federale che cosa vi direte? Da dove ripartirete dopo una sconfitta epocale per il calcio italiano?

    «Intanto dalle persone giuste al posto giusto. Da Gravina e da Mancini. Serve un'unità di intenti, e certo servono degli strumenti di responsabilità del sistema che significano un contenimento dei costi. Però, senza polemiche, dobbiamo cercare di valorizzare meglio la nostra gioventù».

     

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