Dario Salvatori per Dagospia
francesco guccini canzoni da osteria
Lunga vita al Maestrone! Dopo aver sfornato l’album “Canzoni da intorto”, che si è rivelato il disco fisico più venduto lo scorso anno (51 mila copie) Francesco Guccini, nonostante gli acciacchi, ha avuto la forza di mettere sul mercato “Canzoni da osteria”, un piccolo gioiello.
Dall’alto del suo scranno cantautorale si è divertito ad impartire lezioni di folk al pubblico e ai suoi colleghi più giovani. Ma ecco la stoccata-smemoranda rilasciata a “Il Giornale” tre giorni fa: “Le canzoni del primo dopoguerra erano ignobili, con testi assurdi e illogici, come La casetta in Canadà.”
Chiariamo. “La casetta in Canadà”(accento per la rima) non ha nulla a che vedere con il repertorio del primo dopoguerra (1915-’18). Anzi, arrivò molti anni dopo, esattamente quarant’anni. Di più. Arrivò quarta al Festival di Sanremo del 1957. Stiamo parlando di una delle canzoni più famose, più cantate e riconoscibili della primissima fase di Sanremo, nonché una delle più rappresentative di tutto ciò che identificava la canzone italiana prima che arrivasse l’ormai imminente ciclone-Modugno.
francesco guccini
In verità la canzone possedeva il merito di proporre una risposta all’imperante melodia strappalacrime della maggior parte della produzione di allora. Anche la faziosità del testo nascondeva tra le pieghe frammenti tragicomici, che sono poi quelli che hanno permesso al brano di varcare otto decadi e arrivare fino a noi addirittura come un classico del repertorio per bambini, ma anche filastrocca per spot commerciali.
A Sanremo venne interpretata da Gloria Christian insieme a il Poker di Voci e da Carla Boni, insieme al Duo Fasano e al barese Gino Latilla. Fu proprio quest’ultimo ad ottenere i maggiori consensi sfoggiando un vistoso cappello alla Davy Crockett (1786-1836). Latilla avrebbe voluto indossare anche i pantaloni sfrangiati del trapper di frontiera, cacciatore e massone, ma gli organizzatori non lo permisero. Si dovette accontentare del cappello di procione.
“La casetta in Canadà” narra di un tale Martin che possiede una piccola casa in Canadà che gli viene disfatta da un piromane, il terribile Pinco Panco. Martin continuò a costruire altre case, in Canadà, beninteso, che puntualmente venivano incendiate da Pinco Panco, adorato dai bambini degli anni Cinquanta. Il riformismo post Sanremo era già in agguato.
CARLA BONI GINO LATILLA
Emilio Jona nel libro “Le canzoni della cattiva coscienza”(Bompiani, 1964) lancia i primi strali: “In realtà quella dell’uomo protagonista della canzone è la moderna transizione del mito di Sisifo. Soltanto due autori debosciati potevano scriverla.”.
Jona faceva parte del gruppo di cantanti politicizzati guidati da Giovanna Marini che occuparono il palco al Festival di Spoleto con Giancarlo Menotti disperato direttore artistico. Proprio nell’edizione del ’64. Finì a mazzate. Gianni Borgna nel suo libro “La grande evasione”(Savelli, 1980) propone e apre la sua versione marxista-leninista: “La canzone ha a che vedere con l’elogio della positività del decoro piccolo borghese all’aspirazione della casa tutta per sé”.
dario salvatori foto di bacco
Il poeta pasoliniano Enzo Giannelli si schierò contro le due versioni: “Deploro la faziosità e le forzature di certi intellettuali frustrati dall’irrazionalismo del mito di Sisifo”. Il tema della “casa per tutti” era già uno slogan negli anni Trenta, al punto che Antonio Cederna, primo giornalista ambientalista, fece partire la sua analisi dal Concordato del 1929: “Libera Chiesa in libero Stato, un netto slogan separatista. Il risultato fu quello di sventrare un quartiere forse troppo attaccato a S.Pietro che possedeva una sua storia. Borgo Angelico, Borgo Vittorio, Borgo Pio, Borgo Sant’Angelo, Borgo Nuovo e Borgo Vecchio, la cosiddetta Spina, lasciarono il posto alla prossimità di via della Conciliazione.
Il fascismo costruì case popolari in via Donna Olimpia ma gli sfrattati ebbero le prime dimore solo nel 1933. Monteverde non era nemmeno un quartiere, c’era addirittura un lago e proprio lì nacquero i Grattacieli, di cui parla Pasolini nel suo Ragazzi di vita”.
dalida
Intanto “La casetta in Canadà” incassava allori. Qualche mese dopo quel Sanremo, si invitò in Canadà Vittoria Mongardi, che trionfò al Festival di Toronto cantando la canzone che gli italiani cantavano a memoria. Con lei i canadesi furono munifici donandole una “casetta in Canadà”, senza “pesciolini e fiori di lillà”. Intanto fioccavano innumerevoli versioni: Quartetto Cetra, Nilla Pizzi, Wilma De Angelis, Gigliola Cinquetti, Claudio Baglioni.
In Francia Dalida arrivò al n.1 con la sua versione tradotta, “Le ranch de Maria”, subito bissata nel resto d’Europa da Yvette Giraud e Andrè Claveau. A proposito. I due autori della canzone, entrambi milanesi, Vittorio Mascheroni (1895-1972) e Mario Panzeri (1911-1991) hanno scavalcato Mogol nella classifica delle vendite per autori: Mogol 523 milioni di dischi, Mascheroni-Panzeri 570.
CARLA BONI GINO LATILLA
dario salvatori
lelio luttazzi con teddy reno e vittorio mascheroni negli uffici della cgd (1949) Gianni Borgna achille togliani con il duo fasano (ai lati) , nilla pizzi e gino latilla