1 – LIBIA, GLI INTERESSI PETROLIFERI DI RYAD E DEL MONDO INTERO DIETRO L’AVANZATA DEL GENERALE HAFTAR
Mauro Bottarelli per https://it.businessinsider.com
KHALIFA HAFTAR
Petrolio WTI ai massimi da cinque mesi in area 63,60 dollari al barile e Brent sopra i 70 dollari in apertura di contrattazioni: se fosse servita una riprova concreta di quanto il caos libico possa potenzialmente impattare a livello globale sulla commodity più finanziarizzata in assoluto, la giornata di ieri l’ha fornita. E dietro l’avanzata delle milizie del generale Haftar verso Tripoli, concretizzatasi nel bombardamento dell’aeroporto della capitale, dopo una prima controffensiva delle truppe fedeli al governo di Al-Sarraj e il lancio dell’operazione “Vulcano di rabbia”, c’è molto del risiko petrolifero che sembrava terminato in sordina negli ultimi tempi.
KHALIFA HAFTAR
Oltretutto, con più fronti aperti: il rallentamento dell’economia globale in primis, la crisi in seno all’Opec riguardo la politica dei tagli alla produzione, il rilancio dello shale oil statunitense e, soprattutto, la contrapposizione in atto in Venezuela. Insomma, un potenziale detonatore al rialzo per i prezzi.
Con uno spettatore tutt’altro che disinteressato, economicamente e geopoliticamente: l’Arabia Saudita. Da più parti, infatti, si lascia intendere che la rottura degli indugi da parte del generale Haftar sia frutto – più che di un’interessata ingerenza francese per le risorse petrolifere libiche – della rinnovata e rinsaldata alleanza con Ryad in seno agli schieramenti di sostegno dei due governi del Paese nordafricano.
al serraj haftar giuseppe conte
Il Regno saudita, infatti, dopo qualche mese di difficoltà dovuto alla rocambolesca scalata al potere del principe Mohammed Bin Salman, recentemente richiamato all’ordine da re Salman che ne ha limitato per legge i poteri, pare tornato all’antica potenza. Quantomeno, a livello di ricatto petrolifero.
Chiusa con una transazione economica, accettata dalla famiglia, la vicenda del rapimento e dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi nel suo consolato di Istanbul, Ryad ha recentemente reso noti per la prima volta i conti di Aramco, la potentissima azienda petrolifera statale, la cui Ipo rimane l’oggetto del desiderio inconfessato di Wall Street.
i profitti di saudi aramco
Questo grafico parla più di mille cifre rispetto al livello siderale di profittabilità del gigante energetico, oltretutto in un periodo prolungato di prezzi non certo ai massimi per il barile. Insomma, Aramco val bene qualche rospo da ingoiare. E ne sanno qualcosa a Washington, visto che hanno dovuto accettare, facendo buon viso a cattivo gioco, addirittura la minaccia di far saltare le transazioni petrolifere denominate in dollari, in caso gli Usa proseguissero nella loro intenzione di sottomettere i membri Opec alla legislazione antitrust in vigore Oltreoceano.
Di fatto, la fine stessa del concetto di petrodollaro, oltretutto in un momento storico che vede il biglietto verde dover fare i conti con la prima, seria messa in discussione del suo ruolo di valuta benchmark a livello globale, a spese di euro e yuan.
i partner per l'export di armi usa
E se questo altro grafico mostra come anche l’altra grande industria Usa, il comparto bellico-industriale denominato warfare, non possa permettersi un precipitare degli eventi nei rapporti con Ryad, già messi a dura prova dal report sulle responsabilità saudite dietro l’11 settembre nell’era Obama, ecco che in contemporanea con l’offensiva del generale Haftar contro l’aeroporto di Tripoli, Ryad svelava i dettagli della prima mega-emissione obbligazionaria di Aramco, attesa a breve.
E, soprattutto, denominata in dollari. La vendita è cominciata lo scorso weekend con un order book da 40 miliardi di dollari, 30 dei quali sono stati sottoscritti soltanto sabato 6 aprile: per Sergey Dergachev, portfolio manager alla Union Investment in Frankfurt, la domanda potrebbe facilmente superare il record di 53 miliardi ottenuto l’anno scorso dal Qatar per il suo bond da 12 miliardi di controvalore.
mohammed bin salman al saud con donald trump
Il tutto, partendo da un target iniziale di raccolta da 10 miliardi di dollari, necessari per diversificare le fonti di finanziamento del deficit di budget saudita, creatosi negli anni del barile ai minimi. Non a caso, l’emissione è stata spezzettata in sei tranche e, stando ai bene informati, l’asta verrà utilizzata come “manifesto pubblicitario” per il vero colpo grosso. Ovvero, la quotazione di Aramco, posticipata l’anno scorso, poiché gli investitori ritenevano esosa la valutazione avanzata da Ryad del suo gigante energetico: 2 trilioni di dollari.
saudi aramco 9
Con il bond che farà prezzo il 9 aprile, si scopriranno parzialmente le carte. E quel prezzo, astronomico soltanto sei mesi fa, potrebbe non fare più tanta paura. E spingere il Regno verso l’Ipo, ovviamente cercando di sfruttarne al massimo il potenziale a livello di contrattazione politica. Ed ecco entrare in scena la Libia e il possibile “sprone” saudita alle mire egemoniche e di conquista del generale Haftar.
saudi aramco 8
Se infatti la posizione ufficiale statunitense appare quella della condanna dell’offensiva, almeno stando alle parole del numero uno del Dipartimento di Stato, Mike Pompeo, il fatto che Washington abbia immediatamente evacuato il proprio personale militare e civile manda un segnale ambiguo. Quantomeno di non interventismo diretto. E se i maggiori esperti di commodities si sentono di escludere un impatto immediato in grande stile della rinnovata tensione libica sulle quotazioni del barile di greggio, viene fatto notare come l’avanzata su Tripoli sia strategica anche a livello petrolifero, non solo politico-militare.
MIKE POMPEO
Se anche i maggiori terminal ad oggi appaiono lontani dal teatro di scontro, la mente torna infatti allo scorso giugno, quando proprio la conquista di due centri nevralgici da parte delle truppe di Haftar comportarono la sospensione delle spedizioni di greggio per settimane, stante la decisione di trasferirne l’autorità sotto l’egida dell’entità libica dell’Est. L’export crollò di 800 milioni di barili al giorno e il Paese perse quasi 1 miliardo di dollari, prima che i terminal contesi tornassero sotto il controllo della National Oil Corporation, la cui sede è proprio a Tripoli.
petrolio libia
E questa mappa mostra nell’area adiacente alla capitale quale potrebbe essere la mira strategica di Haftar. Ovvero, la conquista del porto-terminal di Zawiya, il cui blocco o mal funzionamento potrebbero compromettere del tutto l’operatività del giacimento di Sharara con i suoi 300 mila barili al giorno. “Se Haftar prende il controllo di quel terminal, controllerà virtualmente l’intera industria petrolifera nazionale”, sentenzia Salma El Wardany di Bloomberg. Basti ricordare, in tal senso, come prima dell’intervento Nato del 2011, la Libia di Muhammar Gheddafi producesse circa 1,6 milioni di barili al giorno, mentre i dati ufficiali del 2018 parlano di un output di circa 550mila barili quotidiani. In caso di escalation su ampia scala o di tensione prolungata, nessuno si sente quindi di escludere possibili contraccolpi più incisivi sul prezzo del greggio.
PETROLIO
Un qualcosa che non dispiacerebbe affatto a Ryad, la quale in queste ore sta incassando anche un’altra vittoria diplomatica nell’area, in attesa dell’esito del voto israeliano: la messa fuorilegge dei Pasdaran iraniani da parte degli Usa. Di fatto, un atto che trasforma i Guardiani della rivoluzione khomeinista dislocati nei proxies più caldi dell’area, dall’Iraq alla Siria, in potenziali terroristi.
GHEDDAFI
Se poi le sanzioni statunitensi contro Teheran e il suo greggio vedranno cadere anche le ultime resistenze europee e la situazione venezuelana dovesse conoscere una drammatica accelerazione verso il caos, l’oro nero potrebbe tornare a giocare un ruolo di primo piano sul fronte delle commodities. E per le casse di Ryad. Innescando, di fatto, un enorme guerra per procura globale fra Cina e Russia da un lato e Stati Uniti dall’altro. Con Iran e Arabia Saudita a giocare il ruolo di pedine sul terreno nella scacchiera del Medio Oriente e la Libia che potrebbe accendere pericolosi fuochi incrociati, stante gli interessi europei per il suo greggio. Italiani e francesi in testa.
2 – SAUDI ARAMCO, UN DEBUTTO DA RECORD SUL MERCATO DEI BOND
Sissi Bellomo per www.ilsole24ore.com
saudi aramco 4
Niente Borsa per ora, ma Saudi Aramco ha comunque messo a segno un debutto da record sui mercati internazionali: il primo bond del colosso petrolifero saudita ha raccolto ordini per oltre 100 miliardi di dollari, quasi dieci volte il valore dell’emissione, che alla fine è stato alzato da 10 a 12 miliardi.
La sete di rendimenti è forte, soprattutto oggi che si stanno di nuovo moltiplicando le obbligazioni a tasso negativo. Tuttavia nessuno nella storia degli emergenti aveva mai riscosso tanto successo, nemmeno se si allarga lo sguardo ai titoli di Stato, e persino sui mercati occidentali i precedenti si contano sulle dita di una mano: l’ultimo caso di obbligazioni corporate con richieste per oltre 100 miliardi risale a un anno fa negli Usa, quando il gruppo farmaceutico CVS Health raccoglieva fondi per l’acquisto delle assicurazioni Aetna. L’asticella era stata superata in precedenza anche da Verizon Communication nel 2013 e dal re della birra Anheuser-Busch InBev nel 2016, all’epoca della scalata a SABMiller.
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Il successo di Saudi Aramco è stato tale da abbassare il rendimento dei suoi bond al di sotto di quello del debito sovrano saudita, altro evento molto raro: lo spread sul decennale Usa, a seconda delle scadenze di bond (da tre a trent’anni) è tra 55 e 155 basis point.
Per l’Arabia Saudita l’operazione segna l’uscita definitiva dal purgatorio in cui gli investitori stranieri l’avevano relegata (molto brevemente, a dire il vero) dopo l’omicidio del giornalista Jamal Kashoggi, lo scorso ottobre.
vladimir putin e mohammed bin salman 4
All’epoca i banchieri di Wall Street avevano boicottato la «Davos del deserto», convegno che la casa reale saudita voleva usare come passerella per la comunità finanziaria internazionale. La settimana scorsa si sarebbe mosso di persona Jamie Dimon, ceo di JPMorgan Chase, per perorare i bond di Saudi Aramco alla tappa newyorkese del roadshow.
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Molti altri big del credito si sono ritagliati un ruolo nell’operazione. Dell’emissione si sono occupati anche JpMorgan, Goldman Sachs, Hsbc, Citigroup e National Commerce Bank. Come financial adviser è invece stata scelta Lazard.
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Per tutti era importante rinsaldare le relazioni con Riad, che a questo punto potrebbe anche convincersi a riaprire in anticipo il dossier della quotazione in Borsa di Saudi Aramco. L’Ipo è ufficialmente rinviata dal 2018 al 2021 e nel frattempo, per finanziare i piani di diversificazione dell’economia, i sauditi hanno messo in atto un «piano B»: Aramco ha rilevato il 70% di Sabic dal fondo sovrano per 69,1 miliardi di $, accedendo per la prima volta al mercato dei capitali (anche se i suoi dirigenti negano che il bond di ieri serva per pagare l’acquisizione).
mohammed bin salman al saud principe ereditario
Molti analisti hanno giudicato troppo ambiziose le mire del principe saudita Mohammed bin Salman, che sperava di raccogliere 100 miliardi di dollari collocando in Borsa il 5% di Saudi Aramco (arrivando così a una valutazione complessiva di 2mila miliardi). Le prenotazioni di un bond rappresentano un interesse virtuale, perché è pratica comune inserire ordini multipli. Ma il fatto che l’order book abbia addirittura superato la fatidica cifra dei 100 miliardi di certo avrà un peso a Riad.
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