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    “HO FATTO QUESTO DOCUFILM PERCHÉ VOLEVO SMETTERE DI PARLARE DELLA MIA VITA” – DITE ADDIO ALLA TINA TURNER CHE AVETE SEMPRE CONOSCIUTO. LA PRIMA ROCKSTAR DONNA HA APPESO IL MICROFONO AL CHIODO E A 81 ANNI SI È ROTTA LE BALLE DI VIVERE “ON THE ROAD” E SE NE STA RINTANATA CON IL MARITO NEL VILLONE VISTA LAGO DI ZURIGO: “SONO IN UNA FASE DIVERSA DELLA MIA ESISTENZA, VOGLIO GODERMI IL MIO MATRIMONIO, LA MIA CASA. I PERIODI BUI DELLA MIA VITA? IL BUDDISMO MI HA INSEGNATO CHE IL PERDONO RENDE LIBERI”. MA NON PARLATELE DI PASSAGGIO DI TESTIMONE… - VIDEO


     
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    Martin Scholz per “Die Welt”, pubblicato da “Robinson - la Repubblica”

    Traduzione di Emilia Benghi

     

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    È stata la prima rockstar donna a fare il tutto esaurito negli stadi - a Rio nel 1988 l' hanno applaudita 180.000 spettatori, un record che Tina Turner detiene tuttora. In molte scene del nuovo docufilm Tina (disponibile in Blu-ray, dvd e digital download dall' 8 luglio) appare con la sua chioma leonina di fronte a enormi platee, che incanta come uno sciamano.

     

    Ma prima racconta con dolorosa sincerità i capitoli più cupi della sua vita. Parla del suo primo marito, Ike, il suo pigmalione, da cui in seguito è stata abusata e tiranneggiata. Nel 1976 Tina Turner si separò da lui e dovette sbarcare il lunario come madre single esibendosi a Las Vegas per convention aziendali.

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    A metà degli anni Ottanta riuscì a tornare in vetta alle classifiche con Private dancer che oscurò tutti i suoi successi precedenti. Il nuovo film è una sorta di testamento. I momenti più toccanti sono quelli in cui la cantante si chiede cosa resterà del suo personaggio.

     

    Negli anni passati Tina Turner, oggi ottantunenne, ha lottato contro gravi malattie, ha avuto un cancro, un ictus, ha subito un trapianto di reni. Lo ha raccontato nel 2018 nella sua autobiografia, My love story. Da 23 anni vive con il suo secondo marito, il produttore musicale tedesco Erwin Bach a Küsnacht vicino a Zurigo. Alle domande di questa intervista esclusiva Tina Turner ha risposto per iscritto.

     

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    Come vive questo periodo di lockdown a intermittenza nella sua nuova patria, la Svizzera?

    «Sono tempi difficili, ovunque nel mondo, ma io cerco sempre di vedere il lato positivo. Sono fortunata. Mio marito è per me la migliore compagnia, e mi piace poter stare a casa con lui, dopo aver trascorso "on the road" tanta parte della mia vita. Sto bene e mi godo la tranquillità».

     

    Molti credono di conoscere la storia della sua vita, almeno quelli che hanno letto le sue due autobiografie e hanno visto il film "What' s love got to do with it?" o il musical autobiografico, ma il nuovo docufilm "Tina" riesce ad andare più in profondità.

    «Cioè?».

     

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    Ho notato che lei spesso ride quando le chiedono dei traumi che ha subito, ad esempio degli abusi da parte del suo ex marito Ike. E mi ha ricordato un' intervista che ho fatto al Dalai Lama in cui aveva parlato della paura di morire provata dopo la fuga dal Tibet e poi si era messo a ridere. Era il suo modo di esorcizzare il passato. Ci riesce anche lei?

    «Ridere è una liberazione - come piangere. Il buddismo mi ha insegnato che il passato, il presente e il futuro sono una cosa sola. Tutto ciò che mi è accaduto - nel bene e nel male - fa parte di me. L' ho accettato, e l' accettazione mi rende più forte».

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    Lei ha incontrato in Svizzera il Dalai Lama. Che ricordo ne ha? La vostra è un' affinità spirituale?

    «Il Dalai Lama mi ha dato il miglior consiglio sul matrimonio. Ha detto che il confronto è uno strumento positivo per risolvere i problemi».

     

    In che modo?

    «Se marito e moglie si tengono sempre dentro quello che non va, se sono sempre costretti a mordersi la lingua, per così dire, va a scapito del rapporto. Quando Erwin ed io litighiamo mi viene in mente l' insegnamento del Dalai Lama e mi ricordo che confrontarsi con un problema è sempre il primo passo per risolverlo».

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    Parliamo di un' altra affinità, quella tra lei e Mick Jagger. Nel film dice che aveva sempre sognato di essere la prima cantante rock nera a riempire gli stadi come i Rolling Stones. Comunque lo aveva fatto presente a Roger Davies, negli anni Ottanta, quando era diventato il suo nuovo manager.

    «Esatto».

     

    All' epoca non aveva nemmeno un contratto con una casa discografica - da dove le veniva la convinzione di poter raggiungere davvero quel traguardo in un mondo allora più di oggi a spiccato predominio maschile, come quello dell' industria musicale?

    «Era un sogno folle, vero? Ma evidentemente non impossibile, ci sono riuscita. C' è voluto tanto impegno. L' importante era credere in me stessa e nelle mie possibilità. Perché se crediamo in noi stessi ci sentiamo sicuri, ed è quello che trasmettiamo all' esterno. C' è stato chi mi ha remato contro, ma anche altri - David Bowie, i Rolling Stones o Rod Stewart - che si sono dati da fare per aiutarmi. E mi fa molto piacere ricordarlo».

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    L' intervista a "People" nel 1981 intitolata "La donna che ha insegnato a ballare a Mick Jagger" è entrata nella leggenda. Lei ha aperto i concerti degli Stones, si è esibita con Mick Jagger al Live Aid. Ci può svelare come ha insegnato a ballare a Mick Jagger?

    «Ballare con Mick era come fare una bella chiacchierata con un amico. Il nostro, sul palco, era un dialogo. Ci ascoltavamo e ci rispondevamo. E sapevamo giocare assieme. Mick ed io ci fidavamo l' uno dell' altra. E un legame che si basa sulla fiducia reciproca è tutto. Ci lasciavamo trasportare dalla musica e dal momento - semplicemente perché ci divertivamo un sacco! ».

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    In uno dei suoi brani più iconici lei invita a mostrare rispetto, "Show some respect". A Mick Jagger, e a Keith Richards, Rod Stewart o David Bowie non c' era bisogno di dirlo.

    «Mick mi ha sempre trattata da amica, da partner. Ma era anche una canaglia, imprevedibile. Però era solo un gioco, in senso buono. I Rolling Stones erano sempre carini con me, mi mandavano i fiori quando stavo male e, quando ancora cercavo di far decollare la mia carriera da solista mi invitavano ad aprire i loro concerti. Ci conosciamo da tanto, tra noi c' è sempre stato rispetto e affetto».

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    Cosa pensa oggi rivedendo i filmati dei concerti quando ballava sospesa in aria su una gru sopra decine di migliaia di mani tese?

    «La parola giusta in questo caso è "contatto". Volevo essere vicina al pubblico. Volevo che io e i miei fan ci guardassimo in faccia. Durante l' esibizione eravamo una cosa sola, crescevamo assieme, ci trasmettevamo energia. E quando ballavo sulla gru volevo che sapessero, avendone la sensazione fisica, che tutti loro erano importanti per la buona riuscita del concerto».

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    Lei è nata a Nutbush, Tennessee. Sua madre era di discendenza Cherokee e Navajo. Da anni lei è ormai cittadina svizzera. Cosa prova ora che Kamala Harris è vice presidente degli Stati Uniti, la prima nera e la prima asiatica americana a ricoprire quell' incarico e con Deb Haaland per la prima volta una nativa americana è parte della squadra di governo come ministra dell' interno?

    «Sono felice che donne forti ricevano i riconoscimenti che meritano. Io stessa ho subito varie forme di discriminazione - per il colore della pelle, per il genere, per l' età. Era sbagliato allora e lo è anche oggi. Avremo un mondo migliore solo se smetteremo di vedere le persone attraverso questi filtri, vale tanto per gli uomini che per le donne. Dobbiamo giudicare gli individui per quello che sono, non in base all' aspetto o all' origine».

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    I registi Daniel Lindsay e T.J.Martin hanno dichiarato a "Entertainment Weekly" che lei aveva inizialmente rifiutato di essere intervistata per il docufilm, perché non voleva tornare a parlare dei traumi del passato. Cosa le ha fatto cambiare idea?

    «Sono sempre restia. In un primo momento non volevo fare neanche il musical sulla mia vita, ma i produttori alla fine mi hanno convinta che potevo raccontare una storia, e avevano ragione. Per questo docufilm all' inizio ho esitato per motivi analoghi, poi mi sono resa conto che poteva dare risposta a tante domande che continuano a farmi. Per chiudere con il passato la cosa migliore è aprirlo, renderlo visibile a tutti».

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    Nell' intervista per il docufilm a un certo punto dice: "Non saper perdonare gli altri provoca sofferenza. Ho subito degli abusi in passato, così è stato, devo accettarlo". Il buddismo l'ha aiutata a trovare la forza di perdonare?

    «Il buddismo mi ha insegnato che il perdono rende liberi. Gli stati d' animo negativi - rabbia, sensi di colpa, o il bisogno di vendetta - ci imprigionano, come pesanti catene. Se perdono non è per scusare i torti che ho subito, ma per liberarmi dal potere che gli altri hanno esercitato in quel modo su di me».

     

    A una conferenza stampa per il suo film "What' s love got to do with it?" nel 1993 a Cannes era seduta accanto ad Angela Basset, che la interpretava sullo schermo. All' epoca disse che non aveva visto il film perché sarebbe stato per lei troppo doloroso. Il documentario l' ha visto?

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    «Sì, ho visto il nuovo docufilm. Anche se è difficile rivivere per l' ennesima volta i momenti più bui, mi sono ritrovata a pensare che i registi sono riusciti a catturare le mie esperienze e i miei stati d' animo. Le scene che ho apprezzato di più sono le clip dei miei concerti. Mi è subito venuta voglia di ballare!».

     

    Nel 2008 ai Grammy è stata protagonista di una memorabile esibizione accanto a Beyoncé. È stata una sorta di passaggio del testimone alla nuova generazione?

    «L' ho vissuta come una festa. Noi due volevamo fare qualcosa assieme e rendere omaggio a un brano straordinario come Proud Mary ci ha dato la possibilità di divertirci sul palco. E di scrivere una pagina della storia della musica».

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    In una delle scene più commoventi del film lei si domanda in che modo un artista può invecchiare dignitosamente. "Come si fa a dire addio? Ad andare via?" . Ed è suo marito Erwin Bach a dare la risposta, dicendo che questo docufilm e il musical sono una sorta di addio. È davvero così, con questo film lei da addio al suo personaggio?

    «Sarò sempre Tina, non potrei mai separarmi da lei. Ho fatto questo docufilm perché volevo smettere di parlare della mia vita. Adesso voglio viverla. Non c' è più niente da aggiungere alla mia storia - è tutta nell' autobiografia My love story e negli altri libri che ho scritto. La mia storia è nel musical Tina: The Tina Turner Musical e adesso anche in questo documentario. Direi che basta così!».

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    C' è qualcosa che le manca delle esibizioni, dei tour, della vita "on the road"?

    «Sinceramente no. Mi è piaciuta quella vita, ogni tour era un' avventura. Ma ora sono in una fase diversa della mia esistenza, voglio godermi il mio matrimonio, la mia casa, vivere le avventure a casa mia».

     

    Il Dj norvegese Kygo ha riproposto la sua hit degli anni Ottanta "What' s love got to do with it" in versione remix con grande successo. Bello che la sua musica, riscoperta e arrangiata da giovani artisti, continui a vivere, no?

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    «Mi piace l' approccio musicale di Dj Kygo, quindi l' idea di riproporre il brano in una nuova versione mi ha trovata subito favorevole. Ho avuto la massima fiducia in lui e mi piace cosa ne è venuto fuori. Sì, certo, sono felice che la mia musica continui a vivere così».

     

    Per chiudere l' intervista facciamo un gioco.

    «Cioè?».

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    Mettiamo che una sera d' estate nel suo giardino con vista sul lago di Zurigo vengano a trovarla i suoi amici Mick Jagger, Keith Richards e Rod Stewart. Keith Richards ha portato delle chitarre e le propone una unplugged session. Che canzoni canterebbe volentieri con loro?

    «So benissimo come finirebbe se venissero tutti a trovarmi. Apriremmo una bottiglia di vino e passeremmo la serata a raccontarci gli ultimi dieci anni, a prenderci in giro, e a ridere, ridere, come fanno tutti i vecchi amici. Mi basterebbe quello».

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