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    CHE JAZZ STAI A DI’? I 40 ANNI DI “UMBRIA JAZZ”, LA WOODSTOCK ITINERANTE CHE CAMBIÒ LA NOSTRA VITA


     
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    1 - KEITH JARRETT E IL LITIGIO DIMENTICATO
    Vittorio Franchini per il "Corriere della Sera"

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    Era la sera del 10 luglio 2007, una sera fredda... Jarrett, il grande pianista, era nervoso, addirittura voleva andarsene. Toccava a lui esibirsi all'Arena Santa Giuliana dove da giorni era tutto esaurito. Ma oltre al clima, la zona che gli era stata riservata era troppo angusta. Insomma voleva annullare il concerto e chiedeva di avvisare l'aeroporto perché il suo aereo personale fosse pronto a ripartire. Ma gli organizzatori inventarono una scusa: l'aeroporto era chiuso. Così Jarrett dovette salire sul palco. Ma chiese due stufe, niente foto, niente sigarette, anche se il concerto era all'aperto. Silenzio assoluto.

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    Cominciò in modo brusco, sembrava aver dimenticato quel suo tocco così capace di creare emozioni. E ad un tratto si alzò e cominciò a insultare il pubblico e Perugia. Forse qualcuno accese una sigaretta, forse scattò un flash... Mai Jarrett suonò così male. Alla fine gli organizzatori annunciarono ufficialmente che non lo avrebbero mai più voluto a Perugia. Lui scrisse poi una lettera di scuse ma sembrò chiusa definitivamente la partita con il festival. E invece ora, per i 40 anni, ecco Jarrett che torna, dimenticati gli insulti, il suo modo a volte indecente di comportarsi. Torna a Perugia per partecipare alla festa.

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    2 - QUANDO RISCHIÒ DI SOCCOMBERE AL SUCCESSO
    Vittorio Franchini per il "Corriere della Sera"

    Quella di Umbria Jazz è una lunga storia iniziata in una notte di agosto del 1973. Carlo Pagnotta, presidente del locale jazz club, aveva avuto l'idea di realizzare un festival che potesse mettere insieme la musica e il turismo. Così l'idea era anche di farlo itinerante, in modo da coinvolgere tutta la regione e di renderlo gratuito.

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    Una splendida e originale occasione per mutare il volto dell'Umbria, forse troppo legato ad un modo sofisticato di fare cultura. Qualcosa di popolare, insomma, che potesse innescare altre opportunità sociali ed economiche. Pagnotta sperava in un successo ma non poteva pensare ad un successo tanto grande da diventare un problema per Perugia e le altre città letteralmente occupate da una grande massa di ragazzi. Rimini aveva cancellato un festival rock e i giovani arrivati sulla costa Adriatica si erano riversati su Perugia: jazz o rock era sempre musica e, soprattutto, un modo per stare insieme.

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    Così l'Umbria era stata invasa da migliaia di giovani che forse nulla sapevano del jazz. Tutti accampati in qualche modo, tutti sulle strade, sacchi a pelo ed espropri proletari persino ai musicisti era impedito di arrivare sui vari palchi. Troppo successo era, alla fine, una sconfitta e il festival aveva dovuto essere sospeso.

    Nel 1977 la manifestazione era stata cancellata... L'Italia viveva gli anni di piombo, il rischio era troppo forte. Ma un anno dopo, il festival rinasce con una formula nuova: due concerti importanti per sera in due città molto lontane fra loro, Perugia e Terni e gli altri in piccole città che vengono prese d'assalto.

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    Funzionò a Perugia e a Terni ma non nelle altre città che furono letteralmente sommerse dalla folla giovanile; straordinari artisti come Carla Bley o Shelly Manne finirono per suonare in condizioni disastrose con decine di persone che avevano occupato il palco: la musica non interessava, importante era stare insieme e mostrare che i giovani avevano scoperto di essere classe sociale e di avere potere e di essere capaci di spaventare gli adulti.

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    Qualcuno raccontava che in una situazione così precaria ci fu un miracolo: il pianista Bill Evans, malinconico, affascinante, elegante, aveva tenuto tutti fermi sotto il palco. Ma non era bastato quel miracolo di Evans, il festival, una volta di più, aveva vissuto tutte le sue contraddizioni e aveva allarmato la gente dell'Umbria. Chiuso, per sempre, sembrava che nessuno volesse più ripetere quell'esperienza che era stata esaltante per molti ma troppo rischiosa per i più.

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    Di festival non se ne doveva più parlare. Ma Pagnotta è un perugino testardo ed era troppo legato alla sua creatura per dimenticarla; così era riuscito, nel 1982 a farla rinascere con qualche modifica: pochi concerti gratuiti, i più importanti a pagamento e tutti a Perugia dove gli spettatori erano tornati ad essere appassionati di jazz.

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    Non fu un grande festival ma servì a scoprire un giovane sassofonista, Massimo Urbani, un autentico talento scellerato come una volta accadeva fra i jazzisti, e due anni dopo a Terni aveva trionfato Miles Davis, grande artista ma anche lui sempre in bilico fra il male e il bene.

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    Comunque, il festival era ripartito ed era subito diventato famoso non solo per i musicisti che vi partecipavano ma per la città, quella città di antiche pietre colme di storia e quell'aria di famiglia che unisce pubblico e musicisti. Concerti all'aperto e concerti in teatri anche nella incredibile scenografia di San Francesco, una antica chiesa capace di affascinare con quelle sue mura diroccate. E per arrivare alla musica vicoli ombrosi e misteriosi, colmi di antiche emozioni che alla fine si riflettono sugli animi dei musicisti e degli appassionati.

     

     

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