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    VIRGOLETTE SALVA-CRONISTA: NON COMPETE AL GIORNALISTA VERIFICARE SE L’INTERVISTATO-VIP DICE IL VERO


     
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    Alessandro Galimberti per Il Sole 24 Ore

    La Cassazione apre una crepa nel principio/dogma della verifica della notizia prima della sua pubblicazione. C'è infatti almeno un caso teorico in cui il giornalista è dispensato dalla affannosa ricerca di riscontri del rispetto della «verità» dei fatti raccontati.

    Lo ha statuito la Cassazione, Quinta penale, con la sentenza assolutoria (28502/13, depositata ieri) del direttore e di due redattori della Voce di Romagna, all'epilogo di una vecchia polemica sulla gestione del comitato locale della Croce rossa. Nel merito, la lunga inchiesta era sfociata in una declaratoria di prescrizione del reato di diffamazione a mezzo stampa, ma con l'inevitabile coda dei risarcimenti civilistici.

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    Il caso era nato dalle interviste rilasciate dagli ispettori dimissionari della Cri locale, in cui erano volati giudizi impietosi sull'operato della presidenza dei primi anni 2000 («totale sfacelo», «gestione basata su interessi personali»), giudizi che i tribunali di merito avevano valutato come eccedenti il diritto di cronaca in quanto non meritevoli della scriminante della «verità» del fatto raccontato. Ed è proprio questo lo snodo della sentenza della Quinta penale, che riprende e attualizza la decisione delle Sezioni Unite (37140/2001) che 12 anni fa avevano tracciato le linee guida per l'intervistatore.

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    L'autorevolezza del personaggio interrogato dal giornalista, spiegano i giudici, è di per sè «la» notizia, al punto che l'interesse pubblico a conoscere la sua opinione diventa «prevalente» anche sugli altri due criteri scriminanti, cioè la continenza della prosa e, soprattutto, la verità dei fatti oggetto delle risposte. In sostanza, la notizia «se anche lesiva della reputazione altrui, merita di essere pubblicata perchè soddisfa quell'interesse della collettività all'informazione che deve ritenersi indirettamente protetto dall'articolo 21 della Costituzione».

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    In questi casi «la notizia è costituita dal fatto in sè delle dichiarazioni del personaggio altamente qualificato, risultando l'interesse del pubblico ad apprenderla del tutto indipendente dalla corrispondenza al vero del suo contenuto e dalla continenza del linguaggio adottato: pretendere che il giornalista intervistatore controlli la verità storica del contenuto dell'intervista potrebbe comportare una grave limitazione alla libertà di stampa».

    E ancora, pretendere che il direttore decida di non pubblicare l'intervista solo perchè contiene espressioni "forti", cioè offensive «di altro personaggio noto» «significherebbe comprimere il diritto/dovere di informare l'opinione pubblica su tale evento, non potendo tra l'altro attribuirsi al giornalista il compito di purgare» il linguaggio dell'intervistato "vip".

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    Se si avvallasse questo approccio "prudenziale", infatti, si trasformerebbe il cronista in un censore («ruolo che non gli compete», sottolinea la Corte) ma soprattutto la notizia «costituita appunto dal giudizio non lusinghiero, espresso con parole forti da un personaggio noto ad altro personaggio noto, verrebbe ad essere svuotata del suo significato». L'unica avvertenza per l'intervistatore - e per i giudice chiamato poi a decidere - è di valutare bene lo standing del personaggio, che sia «noto e affidabile».

     

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