Dagotraduzione dal Guardian
Mucche pascolano
Dagli anni Cinquanta in poi sono state immesse sul mercato oltre 8 miliardi di tonnellate di plastica, l’equivalente, in peso, a 1 miliardo di elefanti. A trainare la produzione sono stati soprattutto gli imballaggi, i contenitori monouso, involucri e bottiglie. L’inquinamento da platica è ormai ovunque, nell’acqua e nell’aria, e tutti noi, inconsapevolmente, ne ingeriamo particelle minuscole. Negli ultimi anni i ricercatori hanno lavorato per sfruttare le capacità che hanno minuscoli insetti di abbattere il materiale.
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Esistono microbi in grado di degradare il poliestere naturale, come quelli, per esempio, contenuti nelle bucce dei pomodori o delle mele, due alimenti presenti nelle diete delle mucche. Per questo gli scienziati hanno deciso di studiare lo stomaco dei bovini e verificare l’efficacia dei tanti microbi che vi alloggiano.
Così la dottoressa Doris Ribitsch e i suoi colleghi dell’Università di Vienna hanno prelevato da un macello in Austria un po’ del liquido dal rumine di una mucca, uno dei compartimenti dello stomaco. Una mucca produce in media un volume ruminale di circa 100 litri, ha spiegato Ribitsch. «Ogni giorno nei macelli si accumula un enorme quantità di liquido ruminale, uno spreco».
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Il liquido prelevato è stato poi incubato con tre tipi di poliesteri: PET (un polimero sintetico comunemente usato nei tessuti e negli imballaggi); PBAT (plastica biodegradabile spesso utilizzata nei sacchetti di plastica compostabili); e PEF (un materiale biobased ottenuto da risorse rinnovabili). Ogni plastica è stata testata sia sotto forma di pellicola che di polvere.
I risultati hanno mostrato che, in laboratorio, tutte e tre le plastiche sono state scomposte dai microrganismi provenienti dallo stomaco delle mucche. Le polveri di plastica si sono scomposte più rapidamente della pellicola di plastica. I passi successivi, hanno spiegato gli scienziati, sarà identificare i microbi cruciali per la degradazione della plastica tra le migliaia presenti nel rumine, e poi gli enzimi che producono. Una volta identificati gli enzimi giusti, possono essere prodotti e applicati negli impianti di riciclaggio.
MUCCHE
Per ora la maggior parte dei rifiuti di plastica viene bruciata. Una piccola parte viene utilizzata per altri prodotti, ma superata una certa soglia il materiale si rovina e non può più essere riciclato. In alternativa si potrebbero trasformare i rifiuti in prodotti chimici di base, ma non è un processo rispettoso dell’ambiente. L’uso di enzimi invece è considerato un modo per riciclare in maniera ecologica prodotti chimici.
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Altri ricercatori sono più avanti nella ricerca sugli enzimi. A settembre è stato progettato un super-enzima mettendo insieme due enzimi diversi, entrambi trovati nell’insetto mangia-plastica scoperto in Giappone nel 2016. Il primo dei due enzimi è stato ingegnerizzato nel 2018, e ha iniziato a scomporre plastica in pochi giorni. Ma il superenzima agisce sei volte più rapidamente. All'inizio di aprile, la società francese Carbios ha trovato un altro enzima, scoperto in un cumulo di foglie di compost, che degrada il 90% delle bottiglie di plastica entro 10 ore.
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Nel liquido ruminale sembra che non sia presente un solo tipo di enzima, ma piuttosto diversi enzimi che lavorano insieme per ottenere la degradazione. Carbios sta lavorando per aumentare la sua tecnologia, ha spiegato Ribitsch. «Ma ovviamente, è sempre bene avere enzimi ancora migliori che magari riciclano altri polimeri, non solo il PET, per esempio... può essere visto come un materiale di riciclaggio generale».