Marta Serafini per il "Corriere della Sera"
Migranti Libia Tweet
I corpi dei bambini e quello di una donna: uno ha il volto seminascosto dalla sabbia, indosso una tutina di quelle che portano i piccoli più o meno fino a un anno di vita; un altro ha i piedi scalzi e sulla sabbia sembra riposare; la terza foto ritrae un corpo femminile coperto di stracci.
Sono le foto, terribili, pubblicate ieri su Twitter da Oscar Camps, tra i fondatori della Open Arms, la Ong spagnola che opera nel Mediterraneo prestando soccorso ai migranti. «Sono ancora sotto choc per l'orrore della situazione, bambini piccoli e donne che avevano solo sogni e ambizioni di vita. Sono stati abbandonati su una spiaggia, a Zuwara, in Libia per più di tre giorni. A nessuno importa di loro», scrive Camps.
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Non è chiaro quando questi corpi siano arrivati sulla spiaggia di Zuwara e non è nemmeno confermato se siano stati rimossi o siano ancora lì. Tuttavia l'ipotesi è che siano vittime dell'ultimo naufragio di cui ha dato conferma nei giorni scorsi l'Oim, l'Organizzazione internazionale dei migranti: una cinquantina di dispersi, 33 superstiti che hanno raccontato che su quel barcone partito nella notte tra il 18 e il 19 maggio da Zuwara erano una novantina, tra loro molte donne e bambini.
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Ipotesi che si rincorrono sulla rotta del Mediterraneo centrale che non smette di essere mortale, tra i trafficanti che buttano in mare i gommoni e i soccorsi che spesso non arrivano.
Domenica la Ong Alarm Phone segnalava un altro distress, come si dice in gergo marittimo: «Non siamo stati in grado di riconnetterci con le 95 persone in difficoltà. L'ultimo contatto risale a 15 ore fa. Ma sappiamo che la barca è ancora in mare: i mercantili First Brother e Sea Loyaltyála stanno monitorando. Temiamo un respingimento illegale verso la Libia».
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Altri barconi che spariscono mentre i corpi vengono inghiottiti dal mare che poi li restituisce alle stesse coste da cui i gommoni partono. O che vengono riportati in Libia. E mentre si attendono conferme sulla dinamica di quest'ennesima tragedia, da sottolineare come nelle ultime settimane le partenze siano aumentate.
Tra lo scorso gennaio ed aprile, le traversate illegali lungo la rotta del Mediterraneo centrale sono raddoppiate rispetto allo stesso periodo dell' anno scorso, per toccare quota 11.600, un aumento del 157 per cento se confrontato al dato del 2020.
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Per il solo mese di aprile gli arrivi sono stati 1.500 e questo ben prima dell'inizio dell'estate, periodo che coincide, di solito con il picco delle partenze. Solo un mese fa, un naufragio costato la vita a 130 persone. E chi non trova la morte nel Mediterraneo rischia di perdere la vita nei famigerati centri libici, controllati dal dipartimento per la lotta all'immigrazione illegale, o in quelli clandestini.
Da inizio anno, 500 persone sarebbero già morte mentre cercavano di attraversare il Mediterraneo centrale, secondo dati diffusi ad inizio maggio dall'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), mentre nel 2019 i decessi nel «mare nostrum» sarebbero stati almeno mille.
Per Amnesty International, che ha denunciato una «strage silenziosa», nel cimitero Mediterraneo almeno in 15 mila hanno perso la vita tra il 2014 e il 2019.
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Inoltre, il rapporto tra partenze e i decessi durante la traversata è drammaticamente mutato: è passato da uno ogni 29 nel 2018 a uno ogni sei nel 2019, un segnale inquietante che queste foto confermano. Lo stesso anno, almeno 2.747 migranti intercettati sono stati riportati Libia. Un dato, in forte aumento da inizio 2021, dopo la riduzione del 2020, causa pandemia: da gennaio, secondo Unhcr, oltre 5.500 persone sono state rimpatriate in territorio libico.
«Disperati, scalzi, stanchi e maltrattati, sono stati condotti in detenzione arbitraria dove affrontano maggiori rischi», ha riferito Safa Msehli, portavoce di Un Migration.
Secondo gli ultimi dati diffusi dalle poche Ong presenti sul campo, tra cui Medici senza frontiere (Msf), in Libia sono attivi 15 campi governativi, con oltre 4.100 migranti prigionieri, di cui 3.200 nella sola Tripoli, 470 nel Nord-Est del Paese e 386 nell'Est. Tra i migranti detenuti, è stato censito una presenza di minorenni, al 27%, e di donne (12%), per un totale di 1.046 migranti particolarmente vulnerabili.
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I volontari di Msf, testimoni diretti da quei centri di detenzione, riferiscono di condizioni «sconvolgenti che stanno ulteriormente peggiorando», con sei o più persone ammassate in ogni cella, senz'aria né luce, con poco cibo e poca acqua. Una vera e propria lotta per la sopravvivenza. A peggiorare la situazione, il divieto di accesso ai centri perfino all'Unhcr, che fino a marzo distribuiva coperte, materassi ed abiti.