albero di natale
Daniele Zappalà per “Avvenire”
Strasburgo e Bordeaux divise in nome della vera difesa dell'ambiente. Il ruolo dei simboli Meglio quello naturale, tagliato o in vaso? Oppure quello artificiale, magari commissionato ad abili artigiani?
Nella Francia già proiettata verso le Presidenziali d'aprile, la scelta del miglior albero di Natale per le piazze di città grandi e piccole ha preso pure una piega politica. Del resto, c'era un po' da aspettarselo: si tratta infatti del primo Natale in cui la decisione tocca pienamente a molti neosindaci ecologisti, dopo lo 'tsunami' dei Verdi all'ultima tornata delle Comunali, con ben 7 grandi capoluoghi (da 100mila abitanti in su) direttamente conquistati, oltre alle città governate in coalizione.
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Ma in materia, è emerso pure un fatto imprevisto: gli stessi Verdi sembrano i primi ad essere divisi sulla questione. In effetti, proprio due grandi capoluoghi regionali con sindaci ecologisti, Strasburgo e Bordeaux, guidano ormai due scuole di pensiero sottilmente antagoniste. La città che accoglie l'Europarlamento, autoproclamata «capitale francese del Natale » grazie ai suoi celebri mercatini scintillanti, ha rispettato la tradizione, vantandosi d'allestire «l'albero di Natale più alto d'Europa»: nella piazza centrale (Place Kléber), un abete tagliato alto 30 metri, fissato con gru giganti e decorato con luminarie lunghe ben 7 km.
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Nell'opposto quadrante Sud-Ovest della Francia, invece, ben diversa la scelta di Bordeaux, dove per la prima volta si è optato per un albero artificiale di vetro e acciaio nuovo di zecca, alto 12 metri, creato da artigiani locali.
«Fabbricato a partire da materiali riciclati, l'albero di vetro è smontabile per poter essere riutilizzato. Tornerà in centro ogni anno», ha spiegato fieramente il sindaco Pierre Hurmic, che in precedenza aveva già sorpreso, dicendosi allergico all'idea di un «albero morto» decorato in pieno centro. Nel dibattito politico e mediatico, la scelta di Bordeaux ha sollevato un'ondata di reazioni anche indignate, ad esempio da parte di chi addita «il dogmatismo degli ecologisti».
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Una polemica rimbalzata con forza soprattutto in quei comuni, grandi e piccoli, che hanno seguito analoghe scelte di 'rottura': come a Cugnaux, sobborgo di 17mila anime vicino a Tolosa, dove il sindaco ha acquistato alberi assemblati con lastrine di legno, forniti da un'associazione per l'inserimento professionale di persone con handicap. A non pochi, il dibattito sembra l'ennesima strumentalizzazione del Natale, in un Paese già ferito da quelle, ancor più urticanti e in salsa laicista, contro il diritto d'esporre un presepio negli edifici e luoghi pubblici.
Anche per questo, è affiorata spesso la tentazione di squalificare chi ha osato violare lo spirito di una festa ben radicata nel cuore di credenti e non. Tanto più considerando il bisogno di valori saldi nella congiuntura tormentata della pandemia. In molti casi, la polemica è dunque divenuta un boomerang per chi l'ha innescata, offrendo alla fine anche spiragli imprevisti di speranza.
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Oltre le nebbie dei sospetti incrociati, è parso lecito riferirsi, in uno spirito natalizio, pure ai possibili frutti positivi di questa vicenda. Innanzitutto, nei comuni che hanno rispettato la tradizione dell'albero naturale, retti o meno dai Verdi, la polemica ha nutrito il desiderio di spiegare meglio ai cittadini tale scelta.
In quest' ottica, non pochi sindaci hanno ricordato che tagliare alberi è una pratica normale di gestione delle foreste e che la selvicoltura, se sostenibile, rappresenta una strada virtuosa contro il cambiamento climatico. Fra l'altro, in Francia, come in altri Paesi europei, la prima fonte d'energia rinnovabile resta la biomassa vegetale proveniente pure dalle foreste. Privandosi di questa fonte e scommettendo solo sulle altre energie 'verdi' (idroelettricità, eolico, solare, geotermia), la parte delle rinnovabili scenderebbe sotto il 10% del mix nazionale.
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Senza contare che le dighe idroelettriche sono vieppiù criticate per il loro impatto sugli ecosistemi, come prova la scelta francese di cancellare del tutto certi sbarramenti ritenuti altamente nocivi, come quelli sulla Sélune, fiume che sfocia nella baia del Mont-Saint-Michel. I n secondo luogo, ci si è accorti che i francesi hanno spesso più fiuto dei politici sulla scelta dell'albero, al di là d'ogni congettura.
Di anno in anno, i sondaggi mostrano che cresce la sensibilità ecologica, di cui del resto sono figli pure gli exploit elettorali locali dei Verdi. Ma al contempo, crescono pure gli acquisti di alberi naturali di Natale. Semmai, più che contrastare questa tendenza, la polemica nata a Bordeaux ha probabilmente spinto non poche famiglie a riflettere sull'importanza di scegliere alberelli di contrade nazionali non troppo lontane. Nella scia di un decreto del 2003, in ogni caso, gli alberi di Natale in vendita sono sempre coltivati e lasceranno posto a un nuovo albero piantato.
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Gli stessi dibattiti, di converso, hanno corroborato la scelta ampiamente maggioritaria di evitare alberelli artificiali, tanto più se prodotti con materie plastiche e in Paesi lontani. In definitiva, un sollievo per tutti: bando dunque agli scrupoli immotivati, quando ci si concede la gioia di un alberello naturale e del suo profumo resinoso, più o meno intenso secondo le specie. I n terzo luogo, nelle piazze o all'interno delle abitazioni, gli alberi festosamente addobbati sono ancor più apparsi come i protagonisti pure di una 'seconda' ecologia che troppo spesso si tende a sottovalutare, se non a di- menticare: l'ecologia dei simboli che ci rimandano a qualcosa di più grande e più alto.
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Simboli, in questo caso, capaci d'istituire un ponte anche fra la nostra vita quotidiana e la natura: per i credenti, in particolare, con il Creato e con lo spirito più profondo del Natale come dono ricevuto per meglio approdare sulle rive che più contano. Del resto, la 'morale' della polemica di Bordeaux sugli «alberi morti» potrebbe tradursi per qualcuno pure in un atto semplicissimo, a pensarci bene: farsi il 'regalo' di leggere o rileggere un testo come l'enciclica Laudato si' proprio accanto alla magia di un albero natalizio.
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L'importanza vitale dei simboli che ci circondano si comprende talora ancor più quando uno sfondo scuro, come la pandemia, genera una sorta d'effetto di contrasto. Fu così in Francia pure nel 2015, durante le fosche settimane dopo gli attentati jihadisti: proprio in quel frangente, i parigini capirono davvero per la prima volta il senso profondo e 'naturale' del simbolo (una nave nella tempesta) e del motto latino (Fluctuat nec mergitur) della loro città.
E restando sempre a Parigi, quanti oserebbero criticare le materie di fabbricazione dei 'branchi' di grandi felini in peluche, visibili dal marciapiede, dietro le vetrate dell'ospedale pediatrico Necker? Oltre che oggetti materiali, anche quelli sono un bel simbolo, verso un'affascinante natura esotica riprodotta proprio lì, con tanto di canne di bambù, per consolare e concedere svago all'infanzia che soffre.
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In definitiva, è dunque lecito pensare e sperare che la cosiddetta polemica degli alberi morti non abbia solo generato spaccature fra due campi armati dei rispettivi argomenti razionali, o presunti tali. Ma che sia stata pure un'occasione per riflettere collettivamente sulla bellezza di cui ci nutre il Natale, anche attraverso i suoi simboli. Quella bellezza che magari, al fianco d'un alberello addobbato da contemplare, e perché no da annusare, potrà allora tanto più apparirci pure come una risorsa per 'salvare' il nostro mondo.
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