Federico Capurso per la Stampa
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Gli europarlamentari del Movimento 5 stelle sono riuniti nel loro ufficio di Strasburgo. Devono decidere se nella seduta del Parlamento Europeo di domani voteranno a favore dell' avvio della procedura disciplinare nei confronti dell' Ungheria di Viktor Orban o se si asterranno. I leghisti a Bruxelles invece non hanno dubbi: «Voteremo contro. Orban è un amico». Così le due visioni di Europa si scontrano, inevitabilmente, in seno al governo italiano che cerca a fatica di tenerle insieme.
La riflessione è «difficile», così la definiscono gli strateghi dei Cinque stelle. Il voto favorevole alle sanzioni allontanerebbe inevitabilmente i Cinque stelle da quei movimenti sovranisti che si stanno coagulando intorno a Salvini e a Orban. L' astensione, d' altra parte, li lascerebbe in un limbo, poco agevole mediaticamente, poco remunerativo in termini elettorali.
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Perché «senza una posizione chiara - ragionano nel quartier generale pentastellato a Bruxelles - lasciamo tra le mani dei leghisti il volante della nostra politica estera».
Per questo, da Roma, spingono per il voto a favore delle sanzioni. L' obiettivo è smarcarsi dalla Lega, far sentire la propria voce, sul solco di quella «Fase Due» nei rapporti con Salvini inaugurata da Di Maio: «Non dobbiamo più essere succubi della Lega».
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Il cambiamento di passo dettato dal capo corre sulle chat interne e arriva fino in Guatemala, da Alessandro Di Battista, che interviene nella trasmissione «Otto e Mezzo» e tira una linea netta di demarcazione tra l' Europa della Lega e quella del Movimento 5 stelle: «Le politiche migratorie di Orban vanno contro gli interessi italiani, quindi Orban non può essere mio alleato», punge Di Battista.
«Sostengo il governo per difendere alcuni diritti, ma non amo particolarmente la Lega». Dall' America Latina a Roma, il registro non cambia. «Noi non ci facciamo trascinare da nessuno. Se con Salvini abbiamo idee diverse, lo diciamo chiaramente», dice il capogruppo M5S alla Camera, Francesco D' Uva a «La Stampa». Sul caso Orban, poi, «sarei molto contento se arrivassero queste sanzioni. La nostra idea di Europa è diversa. Anche sulla questione dei ricollocamenti dei migranti abbiamo chiesto delle sanzioni contro il premier magiaro».
Che il voto di domani sia destinato a ripercuotersi sugli equilibri di governo, soprattutto in materia di politica estera, è evidente a entrambi, leghisti e pentastellati. «Noi non abbiamo nulla a che spartire con Orban», la mette giù duro Manlio Di Stefano, sottosegretario in quota M5S alla Farnesina.
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«La politica europea del governo è contenuta nel contratto», puntualizza Di Stefano, «e lì dentro non si dice nulla contro Orban, è vero, ma non c' è nemmeno scritto che dobbiamo costruire dei muri o allinearci alle sue posizioni». Ma mentre i Cinque stelle tentano di costruire una posizione sovranista più moderata, alternativa a quella salviniana, la Lega prosegue dritta sulla sua strada. Il governo magiaro è accusato di mettere a rischio lo stato di diritto, «ma Orban è primo ministro di un Paese sovrano, partner europeo e della Nato: non possiamo dirgli come organizzare la sua magistratura, o come organizzare le dinamiche sociali ed economiche del suo Paese», dice Guglielmo Picchi, sottosegretario leghista al ministero degli Affari esteri.
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«Le vecchie forze europeiste accusano i "populisti" di volere una Europa chiusa, che esclude - prosegue Picchi - e poi il risultato è un' Europa che punisce gli Stati membri, nega il dialogo e censura un popolo sovrano come quello ungherese». Questa, conclude Picchi, «non mi sembra l' Europa delle libertà a cui i cittadini aspiravano. Soprattutto se , con tutti i problemi che ha, perde il suo tempo a discutere di abolizione dell' ora legale e di Orban».
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La questione europea è un tema sensibile nel governo gialloverde. Da una parte c' è l' imbarazzo dell' anima di sinistra del M5S per l'«amicizia» di Salvini con Orban.
Dall' altro il progetto del leader della Lega di coagulare attorno a sé i movimenti sovranisti e populisti europei, lasciando isolato il Movimento 5 stelle. Nuovi elementi di tensione in seno a Palazzo Chigi intorno ai quali - scommettono da entrambe le parti - lo scontro si farà sempre più duro, sulla strada verso le elezioni europee di maggio 2019.
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