Guido Santevecchi per il Corriere della Sera
medici wuhan
Forse non sono tutti eroi, ma coraggiosi sì. Chi vorrebbe entrare oggi in un ospedale di Wuhan? Medici e infermieri e addetti alle analisi, alle pulizie, alle cucine sono lì e quando escono si portano addosso il dubbio di poter contagiare i familiari. Arrivano molte testimonianze dalle corsie della città di 11 milioni di abitanti sotto quarantena, diventata il «ground zero» dell' epidemia di coronavirus.
Alcune sono ad uso della propaganda, altre dimostrano stress, ma si coglie anche paura. Tutte sono da prendere con estrema serietà.
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Per telefono, si sente la voce di Wang Jun, infermiera del Jinyintan, il centro dei primi ricoveri. «Ci sono colleghi con piaghe alla pelle della faccia, perché dobbiamo portare sempre la maschera e gli occhialoni protettivi, da tenere ben stretti, e i turni sono lunghissimi». Wang riferisce alla tv statale la routine igienica di questi giorni: «Finita la giornata, ci dobbiamo togliere gli indumenti protettivi strato dopo strato. Prima lavi i guanti, e poi cominci a liberarti della tuta; ci hanno detto di disinfettare di nuovo le mani prima di continuare con gli altri strati.
Maschera, occhiali e calottina per i capelli vengono per ultimi, dopo essersi rilavati le mani». E così anche le mani si screpolano. Finito il turno, rimessi gli abiti normali, ultimo passaggio di disinfezione all' uscita. La collega Fan Li dice delle difficoltà di andare al bagno, di bere un bicchiere d' acqua in corsia: «Non puoi certo spogliarti e neanche sollevare la maschera e passano ore prima di poterlo fare».
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Poi bisogna gestire le telefonate di amici e parenti, in apprensione. E vanno rassicurati anche loro, e magari queste ragazze e ragazzi d' ospedale non ne avrebbero voglia, vorrebbero essere confortati loro. Qualcuno ha lanciato sui social network la propria frustrazione: «Si mangiano solo noodle freddi», ha detto una dottoressa. Ci sono altri sfoghi «politicamente scorretti» che compaiono per pochi minuti su Weibo prima di essere spazzati via dalla censura. Ma è impossibile fermare il tam-tam sulla Rete, come è difficile arrestare il coronavirus.
E sul web, copiati da Weibo su Twitter che è bloccato da sempre in Cina ma da dove i censori di regime non possono disinfestare i post, si sono visti brevi video con infermiere in preda a crisi di nervi per il superlavoro e l' ansia. Così da Wuhan sappiamo che alcuni medici e infermieri sono così preoccupati di contagiare i familiari a casa da dormire fuori. E si denunciano alberghi che avrebbero rifiutato di dar loro una stanza. Insensibilità, egoismo, ma anche incapacità di affrontare l' emergenza contro un virus sconosciuto.
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Un medico di Wuhan è morto di polmonite presa in corsia, riferisce la stampa. Era il dottor Liang Wudong, aveva 62 anni «ed era in prima linea nella lotta al virus». Non è stato chiarito se facesse parte dei 15 membri dell' équipe neurochirurgica infettata mentre operava un paziente, senza sapere che nei suoi polmoni si era insinuato il coronavirus.
È crollato, stroncato da un infarto mentre andava verso l' ospedale, un altro dottore, Jiang Jijun, 51 anni, specializzato in malattie infettive. «Era stremato», hanno detto i colleghi alla tv statale.
Intorno allo sforzo e al sacrificio del personale ospedaliero si sta coagulando il clima di mobilitazione di massa ordinato da Pechino. L' agenzia di stampa Xinhua ha lanciato una foto di medici di Wuhan allineati in camice, maschera protettiva e bandiera rossa con la scritta «Squadra d' assalto» anti-virus. Serve anche la propaganda, servono eroi in questa battaglia.
Pechino invia rinforzi: 1.200 medici raccolti in altre province, 450 sono dell' Esercito, sono arrivati a Wuhan. C' è bisogno di loro, perché in costruzione c' è già un secondo ospedale da 1.300 posti, dopo quello da 1.000 promesso entro dieci giorni, a tempo di record. Per questo secondo ci vorranno due settimane: neanche la Cina ha risorse infinite contro il virus.
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