Andrea Galli e Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
stefano ansaldi
Delle ultime tre ore, ore dapprima disperate poi tragiche, il dottor Stefano Ansaldi ne ha impiegata una per stracciare bigliettini. Da solo, seduto a un tavolino di un bar della stazione Centrale, ripreso da una telecamera di sorveglianza in mezzo a migliaia di viaggiatori di corsa. I guanti in lattice, la mascherina.
E quei piccoli fogli. Li divideva, si alzava, li buttava nel cestino e tornava. Forse messaggi d'addio a una famiglia con la quale, da un tempo per tutti infinito, non andava d'accordo, al netto della richiesta, esplicitata tramite l'avvocato da moglie e figli, di rispettare il dolore auspicando l'individuazione dei «responsabili del brutale assassinio».
O forse sono, quei biglietti, una sorta di pizzini con annotata la contabilità, peraltro in perpetua discesa. Calcoli tirati a penna tra i debiti appunto progressivi, opprimenti, che gli avevano portato via lo studio clinico, dichiarato fallito nel 2019, conseguenza di buchi per mezzo milione di euro, come ricostruito dal Corriere in questi giorni; soldi forse perduti, depredati da loschi mediatori in misteriosi bonifici all'estero nei «paradisi fiscali» maltesi; e soldi inesistenti che il ginecologo Ansaldi sperava arrivassero per avviare, questi i piani, una nuova attività imprenditoriale.
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Il progetto l'avrebbe rigenerato scacciando l'avanzata forse di sintomi depressivi, di sicuro mostrando, all'interno di quella stessa famiglia, le sue capacità perché i geni non mentono, lui in crisi e il fratello minore di quattro anni commercialista per mezza Campania... Ansaldi aveva comprato un biglietto del treno di sola andata, da Napoli dove abitava, a Milano dove è morto.
Il contatto che avrebbe dovuto prestargli dei soldi, non si sa quanti ma si ritiene molti, non si è presentato all'appuntamento pur organizzato alla vigilia. Chi sia quest' uomo, atteso invano dal medico forse tradendo promesse, garanzie e rassicurazioni, quali gli eventuali giri sporchi, quali le possibili contaminazioni criminali, lo scopriranno i carabinieri del Nucleo investigativo che indagano senza sosta sulla fine del 65enne, datata tra le 18.01 e le 18.04 di sabato, in via Macchi. Un'indagine che, per sua naturale conformazione, necessita di prove, scientifiche e non soltanto, che indirizzino e consolidino. Aspettando il referto del medico legale, le iniziali evidenze, ma questo è emerso nel pomeriggio di martedì, avrebbero come da fonti della Procura la base nei classici segni lasciati dallo scorrere di una lama sul collo degli aspiranti suicidi, prima di affondare il colpo letale.
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C'erano segni sulla pelle di Ansaldi, al quale infine un taglio innescato da un coltello da cucina ha aperto la gola da lato a lato. Un taglio auto inferto? Gli stessi segni sono una costante delle rapine che i predatori di strada annunciano avvicinando la lama al collo della vittima, per manifestare la minaccia: il coltello che si sposta in considerazione della tensione e di mani tremanti.
Dunque un taglio inferto da un killer? Cento metri separano l'ultima telecamera che ha memorizzato il passaggio, sempre in solitaria, del medico, e il marciapiede del decesso. Il primo testimone, considerato assai attendibile, ha sentito un rumore mentre camminava. Si è avvicinato frontalmente. Il ginecologo agonizzava.
A provocare il rumore, il sangue che terribilmente fuoriusciva in grossa quantità, perfino assumendo una sonorità udibile nel traffico. Il testimone non ha notato persone che scappavano. E non ha notato fuggitivi sull'asfalto alle spalle del medico, verso proprio quella telecamera. Che l'eventuale assassino abiti nei palazzi affacciati su questi cento metri? Compiuto un primo blocco di verifiche incrociate, i carabinieri effettueranno nuove ricerche. Il contatto di Ansaldi non sarebbe stato in via Macchi. Nessuno può escludere che abbia delle responsabilità, ma non appartenenti ad azioni dirette.
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Il telefonino del dottore è sparito. Un'ora prima della morte. L'hanno rubato? Se l'ha buttato lui, l'avrebbe fatto per nascondere numeri e messaggi che voleva rimanessero segreti. Il che apre una gamma di ipotesi sulla sfera intima, o forse, di nuovo, sull'ossessionata ricerca di soldi che lo obbligava a domandare prestiti. Non aveva denaro in quella sua 24 ore, vuota - il contatto avrebbe dovuto riempirla di banconote - eccetto che per dei biscotti. Gli restava il Rolex. Un forte valore ma inferiore a quello affettivo. Stava sul marciapiede, il cinturino richiuso come gli orologi tolti e appoggiati prima del sonno.
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