Elisabetta Andreis e Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”
alex boetticher
Una corposa relazione di 90 pagine, netta e molto severa nell' indicare la soluzione più adeguata per il futuro del bambino nato 9 mesi fa da Martina Levato e Alexander Boettcher, i due ex amanti già condannati in primo e secondo grado per una catena di aggressioni con l' acido a fine 2014: non l' affidamento ai genitori, né alla sola madre, né tanto meno ai nonni del bambino. L' ipotesi preferibile è l' adozione da parte di una famiglia estranea.
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Non lasciano molti appigli a soluzioni alternative le due perite incaricate dal Tribunale per i minorenni, la neuropsichiatra infantile Cecilia Ragaini e la psichiatra psicoanalista Simona Taccani, che ieri hanno inviato le loro conclusioni ai consulenti di parte, Gustavo Pietropolli Charmet per i Levato e Francesco Somajni con Massimo Camiolo per la parte Boettcher.
Per quattro mesi, da dicembre ad aprile, le perite hanno incontrato in colloquio i genitori detenuti (una sola volta insieme), i nonni materni e la nonna paterna, osservandoli anche con il bambino. E hanno concluso che nessuno di loro è «adeguato» a seguire la crescita del minore ponendosi come sua figura di riferimento affettivo, comportamentale e normativo. Per il suo bene, il piccolo dovrebbe essere invece allontanato in via definitiva dall'intera cerchia familiare, sostengono le esperte.
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Gli esiti del lungo approfondimento si allineano con le considerazioni che il pm minorile Annamaria Fiorillo fece poco dopo la nascita. Il magistrato chiese che il neonato venisse dichiarato da subito in stato di abbandono per «totale e irreversibile inadeguatezza del padre e della madre a svolgere funzioni genitoriali».
I legali (Laura Cossar per Martina e i nonni materni, Valeria Barbanti per Alexander e nonna paterna) si opposero, e alla fine il tribunale decise di aprire la lunga istruttoria, il cui passaggio fondamentale è proprio la perizia appena conclusa. La relazione spiega che, ora che c' è il bambino, sarebbe comunque impossibile tenere separati tra loro i parenti, anche se la coppia, dopo la violenta rottura, non esiste più. La difesa di Martina puntava sulla possibilità di un affido esclusivo. Le perite suggeriscono invece di escludere questa ipotesi, per varie ragioni.
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Martina, condannata a 28 anni (12 in appello per aver sfigurato con l' acido Pietro Barbini, più altri 16 in primo grado per altre aggressioni), rimane del tutto centrata su di sé, strutturalmente connotata da forti «elementi disfunzionali» e da dinamiche psicologiche che mal si conciliano, al momento, con il ruolo materno.
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Dinamiche che, ritengono le perite, non sono cambiate nella sostanza, neanche negli ultimi mesi. L'amore nei confronti del neonato accudito per poche ore la settimana risponderebbe più all' urgenza di un suo personale riscatto, che non alla reale disponibilità a prendersi «empaticamente» in carico i bisogni di una persona che cresce, «altra da lei».
Alexander, condannato a 37 anni (14 in appello per Barbini e altri 23 per ulteriori agguati), dal canto suo ha continuato a professarsi innocente, negando le sue condotte aberranti e la parte malata e sadica della sua personalità, scrivono. Infine, non è percorribile l' ipotesi di un affido ai nonni che «resterebbero legati ai figli prima che al nipote»: il minore, rimanendo nell' ambiente familiare, si troverebbe a dover gestire il pregiudizio causato dal fatto stesso di avere quei genitori.
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Quello di ieri è comunque un passaggio interlocutorio: fino al 7 giugno i consulenti di parte avranno tempo per replicare e le perite depositeranno al Tribunale per i minorenni la relazione finale (eventualmente integrata) solo il 14 giugno. A quel punto potrebbe aprirsi una nuova fase di ascolto. Magari con udienze. E in ogni caso contro ogni sentenza di primo grado gli avvocati potrebbero fare ricorso. Il bambino venne concepito tra l' agguato contro Stefano Savi, sfigurato la notte del 2 novembre 2014, e quello del 28 dicembre, contro Barbini.
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