Elvira Serra per il “Corriere della Sera”
Alba Parietti, quanti se ne sente?
«Trenta».
ALBA PARIETTI ABBRONZATISSIMI
Sono 60. Ripercorriamoli per immagini. Ne scelga una per l' infanzia.
«Via Buttigliera 5, a Torino. Sono sul balcone che aspetto mio padre dal lavoro. Lo vedo arrivare e poi usciamo, mi porta a fare una passeggiata o a giocare la schedina. Al bar mi fa giocare a flipper, salgo su una sedia perché non ci arrivo. Di quell' età è anche l' immagine di mia mamma che prepara panini con la Nutella e Coca Cola con ghiaccio per i miei amichetti».
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Adolescenza.
«Sono una ragazzina bella, ma inconsapevole. Ho i capelli lunghi e scompigliati, piaccio a tutti i maschi. Sono uno strano animale aggressivo, spudorata, e racconto un sacco di balle: una è che ho fatto una puntura contro il dolore, la mia amica Patrizia Perrone mi tira i pizzicotti e io resisto anche se soffro; un' altra è che ho un' amica che vive in Francia e fa una vita meravigliosa, quella che vorrei per me».
Anni Ottanta.
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«Fingo di passare per caso davanti alla sede Rai di Torino vestita di leopardo, con i capelli cotonati con il frisé, non sembro una che ha studiato dalle orsoline con Marco Travaglio.
Attiro l' attenzione e Jerry Calà mi chiede il numero di telefono. Un giorno chiama a casa e mi invita a raggiungerlo con I Gatti di Vicolo Miracoli e conosco Franco Oppini, che diventerà mio marito e il padre di mio figlio Francesco. Da lì vengo catapultata in un mondo diverso, comincio a lavorare nelle tv private, faccio la valletta di Amanda Lear, per me una dea...».
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Anni Novanta.
«Tutto quello che non potevo neanche immaginare si avvera. Sono seduta sullo sgabello di Galagoal a Telemontecarlo, un' intuizione di Ricardo Pereira, e da lì stravolgo la messa cantata del calcio maschile. Ho una gran faccia tosta, ostento una sicurezza che mette a disagio gli uomini, ma sono preparata, mi aiutano dalla redazione e studio tanto. Da quel momento tutti si accorgono di me, Rai, Mediaset, mi chiamano Berlusconi, Agnelli, vengono in trasmissione Maradona e Pelè, scrivono di me il New Yorker , Le Figaro ...».
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Merito anche delle gambe accavallate sul famoso sgabello. Più di lei solo Sharon Stone.
«Ma lei è arrivata dopo. Quel gesto rappresentava consapevolezza e distacco. Distraevo il pubblico con le gambe, ma poi lo tenevo inchiodato con le argomentazioni. Certo, c' era anche un po' di narcisismo. Pensare che quello sgabello serviva a tutto: trucco, telegiornale, trasmissione. Chissà che fine ha fatto».
Anni Duemila.
«È quando capisco che non sono immortale. Ho appena compiuto 40 anni, arrivo da un paio di sconfitte professionali e sentimentali, quella con Christopher Lambert è stata bruciante. Vado in vacanza da sola in Sardegna a Porto Cervo e in 23 giorni mi faccio vedere a 23 feste, ogni sera con un abito diverso. Una donna che si sente mia rivale dice: "Alba crede di essere ancora molto bella..."».
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Duemiladieci.
«Divento l' ospite per eccellenza. Penso di aver inventato il mestiere di opinionista, con Vittorio Sgarbi. Faccio la tuttologa e suscita molte antipatie. Ma io non improvviso mai, mi preparo. Come quando Boutros-Ghali, ai tempi segretario generale delle Nazioni Unite, aveva chiesto di essere intervistato da me per uno speciale Tg1 e una importante giornalista tv disse: "Beh, allora perché non lo fate intervistare dalla mia portinaia?". E invece scomodai economisti, politici, lavorai per una settimana con i miei autori. Arrivai super preparata».
Se le chiedo che lavoro fa oggi?
alba parietti
«Faccio Alba Parietti. È un marchio che ancora funziona piuttosto bene».
Che cosa l' ha fatta guadagnare di più?
«Ah beh, gli anni Novanta furono un pozzo di guadagno incredibile. Dopo Galagoal cominciarono a offrirmi 35 milioni a puntata, qualunque cosa facessi. Firmai un contratto con la Ip per un miliardo. È vero che come ho già raccontato rinunciai ai 9 miliardi che mi offriva Berlusconi per lavorare tre anni a Mediaset, ma forse ne guadagnavo due l' anno».
Di quale cosa è più orgogliosa?
«Di Grimilde , perché era un programma scritto da me con Giovanni Benincasa. Di Galagoal , perché ho inventato un nuovo modo di fare televisione. Di Macao , perché Boncompagni ci lasciava liberi di fare qualsiasi cosa. Poi della tournée teatrale Nei panni di una bionda. E del libro Da qui non se ne va nessuno , perché scritto grazie ai diari dei miei genitori».
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È vero che fece svenire Alain Delon?
«Sì, dovevamo partecipare entrambi ad Amici . Non ci vedevamo da molto tempo, lui era risentito perché avevo avuto liaison con il suo avvocato. Ma vede, Delon non era mai stato l' oggetto dei miei desideri perché era troppo bello, troppo perfetto. Comunque, a distanza di tanto tempo ci incontrammo di nuovo e io fui affettuosissima, come se non fosse successo niente. Lui andò in crisi e si sentì male. Racconta che l' ho fatto svenire io».
Ha incontrato tantissime persone. Chi l' ha emozionata di più?
«Come scegliere... Elton John, conosciuto a casa di Gianni Versace, il simpaticissimo Jack Nicholson, David Copperfield, i Duran Duran, Oliver Stone, Bloomberg. La cosa bella è che quelli che erano i miei miti sono diventati miei amici: penso a Claudio Baglioni, di cui ero innamorata, ad Antonello Venditti, Fabrizio De André, Gianni Morandi. Una volta in aereo Luigi Lo Cascio mi chiese l' autografo: lui a me! Forse però l' incontro più sconvolgente, emotivamente più forte, è stato con Ezio Bosso».
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Perché?
«Era una delle poche persone davanti alle quali mi sentivo in soggezione. Nella sua tragedia immane ha messo in scena la sua malattia, condividendola con la musica. Sarebbe bello raccontare questi personaggi anche nelle zone d' ombra, perché hanno sviluppato il genio attraverso grandi dolori che li hanno resi crudeli. Con lui fu un rapporto devastante».
Avete avuto una storia?
«Non c' è nulla di male nell' ammettere che ci sia stata una storia, complessa, dolorosa e pericolosa, irripetibile, che mi è costata moltissimo sul piano emotivo, ma che sono felice di aver vissuto. È stato un sogno a tratti meraviglioso, fuori da ogni logica umana».
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A ottobre dello scorso anno è mancato Giuseppe Lanza di Scalea, suo grande amore. Che effetto le ha fatto?
«Lui in assoluto, oltre a essere uno degli uomini più importanti della mia vita, era quello di cui mi fidavo di più. Era davvero il Gattopardo. Ho avuto la fortuna di avere una grandissima confidenza con lui, uomo di etica e di pensiero. La sua malattia non l' ho vissuta perché aveva una compagna ed era giusto che fossi più defilata, ma se avessi potuto staccarmi un braccio per farlo stare meglio lo avrei fatto».
Chi l' avvisò della morte?
«Sua figlia Giulia, per me un riconoscimento: sapeva quanto bene ci volevamo. Quando ho letto il messaggio, è stato l' unico momento in cui mi sono permessa di piangere. La morte di Giuseppe, dopo quella dei miei genitori, ha rappresentato la perdita della famiglia».
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Non dica così: lei ha Francesco, suo figlio.
«Sì, certo. Ma lui ha la sua vita, i suoi amici, il suo futuro. Giuseppe era mio pilastro, amico, non potevo immaginare che potesse non esserci più. Di certe cose potevo parlare solo con lui. È stato un dolore così violento, che è stato come cadere in un lago melmoso con una pietra al collo: potevo solo scegliere se vivere o morire e niente come il nostro lavoro ti fa restare a galla e ti permette di andare avanti nonostante l' abisso sul quale cammini».
È andata a salutarlo a Palermo?
«No, ma lo farò. Da poco in Spagna ho incontrato un suo caro amico e ci siamo abbracciati e lo abbiamo ricordato così».
È vero che ha salvato la biblioteca personale di Lev Tolstoj a Jasnaja Poljana?
«Salvata con i miei soldi. L' Associazione Italia-Russia di Bologna lanciò l' appello a Domenica in per salvare la biblioteca, che rischiava di essere devastata dai topi, dall' umidità: i libri andavano rilegati. Chiesi quanti soldi ci volevano, dissero 15 milioni di lire e li misi io».
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Quale riconoscimento l' ha resa più felice?
«La mia vanità è stata più appagata quando il New Yorker mi ha raccontata come quella che incantava le star di Hollywood: ero come Cenerentola al ballo. Ma anche di Fellini ho un bel ricordo».
Racconti.
«Mi chiamava "faccia da mascalzone". Purtroppo il mio segretario ha buttato le lettere che mi aveva scritto».
E non lo ha licenziato?
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«No, non si affidano agli altri le cose importanti, ho sbagliato io».
Quale successo avrebbe voluto condividerlo con i suoi genitori?
«Loro ne hanno vissuti tanti. Forse avrei voluto condividere adesso quello di mio figlio Francesco. Lo vedevano come la parte fragile di due genitori che litigavano sempre. Nulla avrebbe reso più orgogliosa mia madre del successo che ha ottenuto dopo il Grande Fratello Vip: è frutto della loro educazione, è un ragazzo equilibrato, perbene, buono, gentile».
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Se avesse potuto richiamare in vita qualcuno la festa dei 60 anni chi sarebbe stato?
«I miei genitori e Giuseppe, ognuno per un motivo diverso. Mio padre per mostrargli che tutto ciò che ha fatto ha dato i suoi frutti e che non ho tradito il partigiano che lui era. Mia madre per dirle che se avessi potuto scegliere tra mille madri avrei scelto ancora lei, con la sua follia e genialità. E Giuseppe perché è e rimarrà sempre il mio migliore amico».
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