Antonio Gnoli per “Robinson – la Repubblica”
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In una giornata di caldo che abbioccherebbe anche i leoni vado a trovare Liana Orfei. Vive a Roma in una bella casa borghese dove non vedo particolari testimonianze circensi. E lei dal circo proviene. Lì è nata ed è cresciuta. Poi ha fatto tante altre cose: cinema, teatro, televisione.
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Ma il circo è stata la lingua appresa naturalmente, la radice che nei momenti difficili le ha consentito di sapere chi era: «Negli intervalli, a volte lunghi, in cui ero impegnata a girare qualche film, era importante sapere che il circo c'era, che i fratelli c'erano, che gli odori che avevo imparato a riconoscere continuavano ad esistere. Il circo è come una patria che non si dimentica».
Il nome Liana come è venuto fuori?
«Mio padre aveva visto un film di Tarzan e quando fu il momento di battezzarmi lui disse al prete che voleva chiamarmi "Liana". Il prete disse ma che nome è? Il calendario non ha nessuna santa Liana, come faccio a battezzarla? Mio padre rispose non importa, lei la battezzi come Orfei poi al nome ci penso io».
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Suo padre era nel circo?
«Si chiamava Paride e c'erano suo fratello Riccardo, padre di Moira, che morì giovanissimo e poi Riccardo, Irma e Orlando. La generazione precedente alla mia. Erano tutti nel circo».
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Quando è nato il circo Orfei?
«Mio nonno sosteneva che il circo fosse nato in pieno Ottocento, da una coppia di sposi piuttosto singolare. Lui era uno spretato e lei una zingara. Lui si innamorò e si lasciò la tonaca alle spalle. Siccome suonava l'organo cominciò a fare qualche concerto nei teatri di provincia. Ma la chiesa perseguitò questi mie avi. Considerava indecente e blasfemo il loro rapporto. Perciò gli fu vietato di fare spettacoli al chiuso».
E a quel punto?
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«Non si persero d'animo e inventarono un teatrino ambulante con tanto di tendone e di animali e qualche numero ginnico. Tutto ebbe inizio da una scomunica!».
Perché gli Orfei sono diventati così famosi?
«Perché eravamo bravi, fantasiosi e fedeli all'idea che il circo venisse prima di tutti noi. Se difendevi il circo difendevi te stesso. E la famiglia. Il che non ha impedito litigi e rotture. Ma questo fa parte della natura umana».
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Quando dice rotture pensa a qualcuna in particolare?
«Penso soprattutto all'anno in cui i miei due fratelli si divisero. Era il 1976, oltretutto si veniva da una tournee pazzesca, un kolossal che avevamo chiamato "Il circo delle amazzoni", perché l'idea era di affidare soprattutto alle donne i ruoli principali».
Cosa non funzionò?
«La causa che scatenò il dissidio tra Nando, il fratello più grande, e Rinaldo, il più piccolo di noi tre, non la conosco. Lo scontro, al di là di questioni personali, fu sulla diversa prospettiva da dare al circo. Riccardo se ne andò in America Latina, riscuotendo tra l'altro un successo clamoroso, e Nando restò in Europa».
E lei in tutto questo?
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«Non volevo prendere le parti di uno o dell'altro. È vero che io ero intrinseca alla famiglia, ma avevo da tempo iniziato a fare cinema e con un certo successo. Mi ritagliai anch' io uno spazio personale. Però soffrivo per quello scontro in atto. La situazione per me precipitò quando decisi di andare all'inaugurazione del nuovo circo che Nando e Anita avevano allestito. Per quel debutto vennero le maggiori famiglie circensi di Europa, le personalità più importanti del mondo dello spettacolo e della politica».
Cosa accadde?
«Fui trattata peggio di un'estranea. Come se nello sguardo di mio fratello e di sua moglie leggessi disapprovazione e rancore. Come se dicessero non ti vogliamo, perché sei venuta? L'ostilità credo dipendesse dal fatto che non mi ero schierata con il fratello maggiore. Ma se per questo neppure con il più piccolo. Caddi in una forte depressione che durò alcuni mesi».
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Accennava al cinema e al successo che le ha arriso.
«Fu tutto molto casuale. All'inizio mi contattò un signore il quale mi disse che un grande regista voleva conoscermi. All'inizio lasciai perdere. Ma lui insisteva con bigliettini e mazzi di fiori. Alla fine, esasperata, gli chiesi ma chi è questo regista? Si chiama Federico Fellini mi risposte. Sapevo della sua passione per il circo, era venuto anche a un nostro spettacolo e quindi incuriosita andai all'appuntamento negli studi di Cinecittà».
Era un provino o cosa?
«Credo fosse proprio un provino. Federico mi squadrò da cima a fondo e lo vedevo dubbioso. Si avvicinava, si allontanava. Si sedeva e poi guardava Pippo Fortini, quello che mi aveva portato, scuotendo il capo. Alla fine, quasi a malincuore, mi disse che non andavo bene, che la mia faccia era troppo pulita per la parte che aveva in mente».
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Ci restò male?
«Rimasi delusa, in fondo uno dei più grandi registi al mondo ti convoca e poi ti dice scusi, mi sono sbagliato. Però le cose stranamente si erano messe in moto. Ma vorrei anche dire a proposito della delusione che non mi sentivo respinta. Non ho mai pensato di essere bella, soprattutto da giovane: con questa faccia larga e gli occhi piccoli, mai avrei pensato di fare cinema. No, decisamente non mi sentivo bella, come poteva esserla mia cugina Moira. Però avevo la sicurezza dell'insicurezza».
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Cosa vuol dire?
«Aver rischiato di morire a quattro anni, e dopo la malattia trascorrere un lungo periodo praticamente immobile nel letto, mi ha forgiato. Mi ha dato la forza di lottare. Lottare per il trapezio, per girare film con registi importanti, per parlare le lingue che non conoscevo. E quindi anche il rifiuto di Fellini fu la "sicurezza dell'insicurezza", cioè la presa d'atto che da quel no poteva nascere qualcosa di nuovo».
Se non ricordo male Fellini prese suo fratello Nando.
«Gli affidò una parte in Amarcord, interpretava il "Patacca"».
A Roma "patacca" è uno poco affidabile.
«E un po' Nando lo era, ma questo era anche il suo bello».
liana orfei e ugo tognazzi
Quindi si chiuse la porta di Fellini e cosa si aprì?
«Il classico portone. Fu lo stesso Fortini che mi telefonò un paio di settimane dopo: è andata male col maestro, ma c'è un contratto pronto per una coproduzione italo-francese, un film leggero per la regia di Mario Mattoli, il titolo Guardatele ma non toccatele. Fu il mio esordio».
Chi erano gli altri attori e attrici?
«Lauretta Masiero, Gloria Paul, Johnny Dorelli, Vianello e Tognazzi. Durante la scena di un bacio Tognazzi, che ci provava con tutte, mi infilò la lingua in bocca. Scandalizzata gli mollai un ceffone, con tutta la troupe che non sapeva se ridere o temere il peggio. Ugo, col quale saremmo diventati molto amici, si scusò dicendo che quella linguaccia gli era proprio scappata. Il film ebbe enorme successo e aprì un genere».
liana orfei e il papa
Tra le disavventure lei racconta nel suo "Romanzo di vita vera" un episodio che la vide coinvolta con Luchino Visconti.
«Accadde a Genova, la sera dopo la premiazione della Caravella d'Oro che fu assegnata a me a Rina Morelli, Paolo Stoppa e a Visconti. Seguì una cena, in cui tutti noi premiati fummo messi allo stesso tavolo. Luchino mi era accanto. E continuava a sbirciare nella mia scollatura. Per il resto fu impeccabile, pieno di attenzioni, charmant come poteva essere un aristocratico come lui. Alla fine, mentre ci stavamo congedando, mi propose una passeggiata».
E lei accettò?
liana orfei e federico fellini
«Ma sì, era una notte bellissima. Ma a un certo punto decisi di rientrare in albergo e provai a salutare Luchino, il quale mi afferrò la mano tirandomi verso di lui. Anni di esercizio al trapezio mi avevano dato forza sufficiente per divincolarmi. Ero stupita e scappai verso l'albergo e lui dietro a inseguirmi. Riuscii ad arrivare nella mia stanza. E dopo un po', ancora leggermente sconvolta, mi affacciai alla finestra. Era lì sotto. Mi vide e cominciò ad arrampicarsi su un glicine che arrivava proprio sotto la finestra. A quel punto temendo il peggio mi rifugiai nella stanza di Lina Morelli».
Immagino restò sorpresa.
«Sì le raccontai tutto, lei era molto amica di Luchino. E allora io le dissi: ma scusa al maestro non piacciono gli uomini? Sì, ma non sopporta che qualcuno o qualcuna gli possa dire no. E poi scoppiò in una risata».
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Tra i grandi che ha conosciuto e con cui ha lavorato figurano Orson Welles ed Eduardo De Filippo.
«Con Welles lavorai nel film I tartari. Fisicamente imponente, era scortese e scontento di tutto. Una delle poche persone del set che lo incuriosivano ero io, per i miei trascorsi al circo. Ricordo la costante presenza della moglie, Paola Mori, cui affidava un paio di bottiglie di whiskey che a fine serata si scolava. Non ho mai visto ubriaco quel bestione con la voce di velluto. E penso che fosse un genio, come lo è stato il grande Eduardo».
Con De Filippo come andò?
«Aveva scritto un testo teatrale per Domenico Modugno, reduce da un grande successo con Rinaldo in campo. Fu De Filippo a volermi. Io gli dissi che non parlavo napoletano e lui mi rispose: se le piace la parte al resto ci penso io. Mi affidai a lui. Ma quando fummo in prossimità del debutto persi la voce. E ciò significò rimandare il tutto. Lo spettacolo, nonostante i nomi, iniziò nel modo peggiore e non ebbe il successo che ci si aspettava».
Perché?
LIANA ORFEI RENZO ARBORE
«Credo che Eduardo avesse scritto un testo bellissimo, intenso, profondo, ma inadatto per il teatro Sistina. Modugno gli chiese di accorciarlo, di renderlo più leggero. E De Filippo si rifiutò dicendogli: per quello che lei ha in mente non doveva venire da me. Litigarono. Lo spettacolo fu interrotto e quando qualche tempo dopo Modugno volle riprenderlo senza Eduardo, continuò a non incontrare il gusto del pubblico».
Qualcosa di più generale e profondo è accaduto anche con il circo.
«Se si riferisce alla sua decadenza sì, ormai il pubblico va altrove. Noi Orfei facemmo il grande circo a tema, quasi trent' anni prima del Cirque du Soleil. Ma i costi di quella meravigliosa avventura furono insostenibili. Per fare circo occorre la passione di chi lo fa e molto denaro. Collaborai fin dagli esordi con il circo di Montecarlo. Lì la competenza e il valore degli artisti si unì alla passione del principe Ranieri e di sua moglie Grace. Che ho conosciuto a una cena e fu incuriosita da un anello che avevo al dito».
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Cosa aveva di speciale?
«Era semplicissimo: un minuscolo sasso con incisi due piccoli cavalli circensi. Gliene feci dono con grande scandalo, sia perché eravamo a un pranzo ufficiale e anche per il motivo che i doni ai regnanti devono seguire un protocollo. A lei piacque e in fondo era come tornare alla semplicità delle sue radici americane. Quando morì nel terribile incidente del settembre del 1982 tutti la piansero. E fu in un certo senso come una prova generale dell'altra grande tragedia che avrebbe coinvolto quindici anni dopo la principessa Diana».
Una morte mediatica.
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«Ma non per questo meno dolorosa. Io so cosa vuol dire il dolore. Sono rimasta l'unica del fratelli Orfei. Non ci sono più Nando e Rinaldo e mi dico per quanto ancora? Ho Cristina, mia figlia, una nipote che adoro, mio marito Paolo. A volte penso che diversamente dai miei fratelli ho "tradito" il circo per fare altro. Ma è la mia natura. È l'irrequietezza che mi ha condotto tra alti e bassi a fare della vita la mia vita».
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