Fulvio Bufi per corriere.it
Italiani scomparsi in Messico - Antonio Russo - suo padre Raffaele e il cugino Vincenzo Cimmino
Due agenti della polizia municipale di Tecalitlan, cittadina messicana della regione di Jalisco, sono stati condannati per la scomparsa dei cittadini italiani Raffaele Russo, Antonio Russo e Vincenzo Cimmino, dei quali non si hanno più tracce dalla fine di gennaio del 2018.
Nel processo era imputata anche un’altra poliziotta, che però, trovandosi in stato di libertà, si è allontanata dal tribunale prima della fine dell’ultima udienza e si è resa irreperibile. Ora è ricercata ma poiché in Messico la legge non prevede che siano emesse sentenze in contumacia, i giudici hanno dovuto stralciare la sua posizione. Quando verrà catturata, il tribunale si esprimerà anche nei suoi confronti.
Corpi mai trovati
Giunge quindi a una prima verità giudiziaria la vicenda dei tre italiani - tutti di Napoli e imparentati tra loro - che erano andati in Messico per vendere generatori elettrici di fabbricazione cinese e di scarso valore, e non sono più tornati a casa, né si è mai saputo nulla della loro sorte.
ITALIANI SCOMPARSI IN MESSICO
Mai ritrovati i loro corpi, ma dal lavoro investigativo portato avanti dalla «fiscalia» (l’ufficio giudiziario corrispondente alla nostra Procura) di Jalisco emerge con chiarezza che a decidere la sparizione di Raffaele Russo, 60 anni, suo figlio Antonio (25) e il nipote Vincenzo (29) fu il cartello criminale denominato Jalisco Nueva Generation, attualmente il più potente nel narcotraffico, e che i poliziotti incriminati avrebbero svolto soltanto un compito di manovalanza. Oltre ai due condannati e alla donna latitante, fu arrestato anche un altro agente, che però è morto in carcere prima che iniziasse il processo. Incriminati, ma mai arrestati perché avevano già fatto perdere le proprie tracce, anche tre loro colleghi e il capo della stazione di polizia di Jalisco all’epoca dei fatti.
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L’audio inviato alla famiglia
La mattina del 31 gennaio del 2018, Raffaele Russo uscì da solo per incontrare qualcuno, ma non disse al figlio, al nipote e all’altro figlio , Francesco, l’unico riuscito a tornare a Napoli, con chi avesse appuntamento. Dopo alcune ore, non avendo più sue notizie e non riuscendo a rintracciarlo telefonicamente, Antonio e Vincenzo si misero alla sua ricerca. Cominciarono a chiedere in giro, e nei pressi di una stazione di servizio furono fermati da alcuni poliziotti che gli imposero di seguirli. Furono gli stessi ragazzi napoletani a raccontare quello che stava accadendo in un messaggio audio inviato ai loro familiari in Italia.
Un messaggio che ha poi consentito agli investigatori messicani d ricostruire le responsabilità della polizia municipale di Tecalitlan e di individuare gli agenti che fermarono Antonio Russo e Vincenzo Cimmino e quelli che li aiutarono, tra i quali l’agente donna, che quel giorno lavorava al centralino della stazione e gestì le comunicazioni in modo da coprire i colleghi.
cartelli della droga e coronavirus in messico 3
Il cartello del narcotraffico
Dopo l’arresto i poliziotti hanno confessato di aver ceduto i rapiti al boss del cartello di Jaslisco, Josè Guadalupe Rodriguez Castillo, detto el Quince o don Lupe, che li avrebbe ricompensati pagando per ognuno dei napoletani una cifra pari a 43 euro. Perché il boss volesse la loro sparizione, però, non si sa. Si ipotizza che possa essersi trattato di una punizione per una truffa collegata proprio alla vendita dei generatori, ma non c’è nessuna certezza.
E non sarà sicuramente el Quince a rivelare la verità. Ricoverato in ospedale dopo essere stato ferito in una sparatoria, il boss è stato portato via dai suoi uomini che hanno poi diffuso la notizia che fosse morto. Ma gli investigatori nutrono molti dubbi in proposito, e sospettano che il capo dei narcos stia soltanto cercando di far allentare la pressione nei suoi confronti e di cambiare identità per continuare a gestire meglio i suoi affari. Restano quindi solo le responsabilità dei poliziotti, che in tribunale hanno provato a ritrattare le confessioni sostenendo che furono estorte con la forza.
Gli italiani scomparsi in Messico - Raffaele Russo Antonio Russo Vicenzo Cimmino
Ma i giudici non gli hanno creduto, e tra pochi giorni si conoscerà anche l’entità della condanna, perché in Messico è prassi che sentenza e pena inflitta non vengano comunicate contestualmente. Per il reato di cui gli agenti erano accusati, sparizione forzata, sono previsti tra i quaranta e i sessant’anni di carcere.
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