1 - LE POLEMICA SUL CORDOGLIO SOCIAL E L'AFFONDO DI SAVIANO ROBERTO SAVIANO "
Estratto dell’articolo di “la Stampa”
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Decine di messaggi di condoglianze alla famiglia sono comparse sui social per la morte di Matteo Messina Denaro. Tra i profili Facebook dove più si leggono commenti di cordoglio, in cui si augura al boss di «riposare in pace», c'è quello di Castelvetranonews.it, testata locale online di Castelvetrano, il paese roccaforte del boss. Uno spaccato di come l'omertà nonostante tutto persista, almeno dove il boss era nato, vissuto e ha trascorso parte della latitanza. «Spero che incontri il piccolo Giuseppe», scrive Mariella riferendosi a Giuseppe Di Matteo, il bambino strangolato e poi sciolto nell'acido su ordine […] In molti reagiscono con un «vergognatevi» […] Lo scrittore Roberto Saviano su X, ex Twitter, invece ha denunciato: «Il boss è morto, l'Italia continua a essere un paese a vocazione mafiosa». […]
2 - LA FINE DEL PADRINO
Estratto dell’articolo di Francesco La Licata per “la Stampa”
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A dar credito al racconto di uno dei medici che hanno curato fino all'ultimo la dipartita del boss Matteo Messina Denaro – aneddoto riportato da Antonio Massari del Fatto Quotidiano – il boss di Castelvetrano è morto con la certezza di essere ricordato dai posteri, come si conviene a chi in vita ha lasciato il segno della sua presenza. E fin qui nulla di nuovo, tenuto conto del patologico egocentrismo che ha caratterizzato le fasi cruciali delle sue scelte esistenziali. Certo, potrebbe essere ricordato dal "suo" popolo, ma come il più "Narciso" dei capi della Cosa nostra trapanese, che pure può vantare una storia di tutto riguardo. Ma molto probabilmente nessun affiliato potrebbe accostare il suo nome a quelli della vecchia guardia, sia del capoluogo che della "nobile" periferia, per esempio Alcamo e Castellammare del Golfo coi suoi Bonanno, Buccellato e i Rimi, per citare solo alcune famiglie.
Francesco La Licata
Ma Messina Denaro era fatto così: autoreferenziale e pieno di sé […] A nessun boss sano di mente verrebbe in mente di ammettere pubblicamente di aver ucciso tanta gente «da poter riempire più di un cimitero». Ma lui non riusciva a non incensarsi, anche accettando di entrare nel buco nero del grande ricatto allo Stato esercitato da una mafia che con le stragi di Capaci e via D'Amelio prima e con quelle in Continente del '93 dopo, ha tentato di condizionare la vita democratica del Paese. Di quella mattanza Matteo è diventato coprotagonista, insieme coi Graviano, coi Brusca e con Leoluca Bagarella.
[…] È storia antica, il legame dei Messina Denaro con la mafia di Corleone. Il padre di Matteo fu l'uomo di Riina (fresco di comando dopo l'arresto di Luciano Liggio) nel mandamento trapanese. Si dice che don Ciccio non andasse mai a trovare gli amici a Corleone perché erano loro, i corleonesi, che venivano ad omaggiarlo a Castelvetrano.
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E il grande capo Riina prese a cuore quel giovanissimo "picciotto", esile e persino un po' cagionevole per una malattia agli occhi. Sarà stato anche per le attenzioni di Riina che don Ciccio designa Matteo suo successore, venendo meno alla regola mafiosa che vuole il figlio maschio primogenito alla guida della "famiglia" dopo la morte del padre-capo. Così Salvatore, il fratello più grande, resta nelle retrovie a curare le amicizie importanti e diventa factotum dei nobili feudatari D'Alì (Antonino sarà condannato per mafia dopo una lunga militanza berlusconiana) entrando pure nella banca di loro proprietà.
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Per Matteo si spalanca la via del comando, ma solo nel territorio trapanese. Così ha scelto il giovane erede di don Ciccio che non ha mai voluto la poltrona di capo della cupola perché «troppo faticosa» per lui che amava più la bella vita che la responsabilità del capo supremo.
Già, la bella vita. Ancora giovanissimo "spazzolava" le strade di Castelvetrano con la sua Porsche e organizzava grandi mangiate nei ristoranti di Marinella di Selinunte dove si presentava sempre accompagnato da belle donne. Anche questa "passione" è da ascrivere alla sua insanabile voglia di apparire e primeggiare.
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Lui le donne non le amava, le possedeva e se ne appropriava con l'ostentazione del potere e della ricchezza. Ne sa qualcosa la sua fidanzata storica, l'austriaca Andrea Haslehner, che ricorda ancora le sontuose vacanze con Matteo, quelle dei tempi remoti e quelle più recenti, quando in Versilia, nel 1992, insieme con i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano e le loro compagne trascorrevano spensierate e ricche ferie mentre i maschi preparavano l'attentato dove sarebbero morti Giovanni Falcone e la moglie, Francesca Morvillo, insieme con i tre agenti di scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. È ricorrente la passione di Matteo per le spese pazze. Anche a Roma si fece conoscere. Era stato mandato a "monitorare" le giornate del giudice Falcone nell'ipotesi di un attentato "classico" (cioè senza bombe) da compiere a Roma. Ma Matteo spariva e andava per negozi a via Condotti a comprare indumenti alla moda.
La sua leggerezza non sfuggì a Riina che fece rientrare in Sicilia il "gruppo di fuoco" che spendeva tanto e realizzava poco, tanto da «perdere di vista» Falcone che pranzava al ristorante La Carbonara di Campo dei Fiori mentre loro lo cercavano al Matriciano in Prati.
Un capo "malgré lui" : così probabilmente era visto dai suoi. […]
CASTELVETRANO IN LUTTO PER MATTEO MESSINA DENARO - SERVIZIO DEL TG1
Matteo si è fatto sempre i fatti suoi, nel senso che ha sempre esaudito i propri desideri e badato ai propri interessi. Non sono, queste, malignità anonime. No, è Riina in persona che trancia giudizi impietosi su Matteo quando, parlando con un suo compagno di cella, viene intercettato dalle "cimici" di Stato. Riferendosi a Matteo, ammette: «Quello lì pensa solo ai fatti suoi, ai suoi affari, ai pali della luce». Il riferimento, chiaro, va all'interessamento di Matteo per il business del voltaico e delle pale eoliche.
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Ecco, in questo campo Matteo è stato davvero un fuoriclasse riuscendo a perpetuare la tradizione economica e finanziaria dei cugini, grandi esattori, Ignazio e Nino Salvo, politici andreottiani, imprenditori e mafiosi di Salemi (ancora Trapani). Ha saputo creare un tessuto economico che ha dato ricchezza (a volte anche legale) al territorio ed ha vincolato molti imprenditori evitando loro il pagamento del "pizzo" sugli appalti. Per questo erano in molti ad amarlo, fino a dire: «U Siccu è tutto, da lui viene il bene». Cioè i soldi. E ora che lui "U Siccu" non c'è più quegli stessi ammiratori potranno persino tirare un sospiro di sollievo, perché venuto meno il grande latitante si attenuerà la pressione repressiva dello Stato e nessuno andrà più in carcere per "stringere il cerchio" attorno al ricercato. Ma gli affari e le ricchezze accumulate resteranno. Anche senza Matteo.
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