Enrico Currò per “la Repubblica”
IBRAHIMOVIC
Ibrahimovic, dopo un anno sta per tornare sul luogo del delitto: Cagliari-Milan 0-2, prima vera partita dello Zlatan bis e subito gol.
«Se non si fa gol, non si vince. È una delle mie responsabilità: segnare o fare segnare».
I numeri: 25 presenze in campionato e 20 gol più altri 6 provocati, scalata dal dodicesimo al sesto posto e adesso al primo.
«Mi sento un leader in campo, i compagni mi seguono: 10 anni fa c' erano un' altra situazione e un altro gruppo. Questo è molto giovane, ma con lavoro e sacrificio arrivano i risultati. Poi non dipende tutto da me».
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Mancava solo un leader, come disse Boban?
«Non posso giudicare il prima. Bisogna continuare, finora non abbiamo fatto niente. L' importante è non fermarsi».
Promette almeno la Champions?
«È ancora presto, il secondo in classifica è sempre il primo degli ultimi. Io devo puntare al massimo, per fare uscire il meglio da me e dagli altri. Non mi interessa lo scudetto d' inverno, ma il titolo vero»
Ma il Milan sette anni senza Champions è un' enormità.
«Non è normale per i tifosi e per il club. Forse in questi 7 anni ci sono state tante cose anche fuori dal campo: se non c' è stabilità sopra, non può esserci sotto».
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Lo disse all' ad Gazidis nel vostro confronto a Milanello?
«Eravamo bloccati dal lockdown e la squadra non sapeva niente del futuro. Io cercavo risposte, non ero il solo. Ci sentivamo giudicati prima ancora di potere fare davvero qualcosa».
Altra svolta: il mancato arrivo di Rangnick, freddo su di lei, e la conferma di Maldini e Pioli.
«Si parlava di una persona che non c' era. Mancavano certezze, sono arrivate con la conferma di Pioli».
Lei e Pioli sembrate agli antipodi.
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«Il nostro è un rapporto professionale: lui è l' allenatore e io il giocatore. Ha fiducia in me e mi fa stare bene. È un grande gentleman: non era semplice per lui, eppure non ha mai ceduto. È stato elegante, un altro avrebbe mollato. Il suo messaggio era di guardare sempre avanti: si è dimostrato da grande club».
Come vive il confronto mediatico con Ronaldo, chi è il migliore?
«Giudichino gli altri: io ho responsabilità per la mia squadra, lui per la sua. Ognuno cerca di essere il migliore».
La Serie A non vuole perdere il marchio Ibra: quando deciderà se restare?
«Finché sto bene, vado avanti. Sono sempre stato onesto, non voglio mettere nessuno in una situazione da cui non può uscire. All' inizio ho firmato per 6 mesi: è capitato, a chi era tornato al Milan la seconda volta, che non sia andata bene. Siamo stati più flessibili lasciandoci vie d' uscita».
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Delle 3 sfide possibili - rigiocare la Champions, abbattere la barriera dei 40 anni, superare le 1000 partite e i 600 gol da professionista, lei che è a quota 943 e 564 - qual è la più stimolante?
«Non sapevo di avere giocato tutte queste partite, significa che sono vecchio. Non voglio pensarci. La sfida di oggi è essere dentro una squadra molto giovane, diversa da come sono abituato. Mi piace tanto, mi dà anche più soddisfazione di quando vincevo».
Al di là dei messaggi social, il Covid le mette paura o preoccupazione?
«Quando mi hanno detto che ero positivo, volevo capire che cos' è questo Covid. Chiuso in casa, aspettavo i sintomi: mal di testa e schiena, gusto perso dopo 4-5 giorni, ogni giorno qualcosa di nuovo. La febbre non l' ho mai avuta: era un fatto più mentale, il tempo passava lento. A casa non mi potevo allenare come prima, mi affaticavo subito».
Da lì l' idea dell' app per il fitness col personal trainer, perché la gente, soprattutto i ragazzi, non si perda durante la pandemia?
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«Chi paga di più sono le nuove generazioni, se non fanno quello che abbiamo fatto noi alla loro età: andare a scuola, fare sport. Forse dovremo convivere col Covid e l' iniziativa di buddyfit è proprio per andare avanti. Quando tutto tornerà normale, non sappiamo se ci saluteremo allo stesso modo, se andremo in palestra come prima. È stato per fare qualcosa di positivo: quando sei attivo, stai meglio e vivi meglio».
Dall' Ibra intemperante a quello di oggi: si sente un esempio?
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«Ogni anno maturi e io ne ho quasi 40, non si direbbe, ma è la verità.L' esperienza serve».
Il personaggio Zlatan, nazional-popolare, andrà a Sanremo.
«Non è il momento di parlarne, lo faremo quella settimana».
C' entra la passione per qualche cantante o gruppo?
«La musica che mi piace è un mix».
Sulla sua popolarità, raggiunta partendo dall' infanzia difficile, la letteratura è vasta.
«C' è sempre qualcuno che ha la sua opinione sugli altri, ma non mi fa effetto. Chi mi conosce sa chi sono. E io so chi sono, che cosa ho fatto e che cosa sono capace di fare».
Anche l' imprenditore: vuole che l' Hammarby, di cui è socio, diventi il club modello della Scandinavia.
«Per i talenti e per cambiare il calciatore svedese tipo. Che non è Ibra, io voglio più Ibrahimovic in Svezia».
Al Milan, dall' Hammarby, è arrivato Roback, 17 anni.
«Ecco. Roback è un altro tipo di giocatore svedese: ha talento, velocità, tecnica. Ogni tanto si allena con la prima squadra: ci arriverà, se si allena bene».
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Da cosmopolita: perché la sua tappa più esotica, l' America, è stata prima rifugio e poi fuga?
«Negli Usa ho scoperto di essere ancora vivo nel mondo del calcio. Dopo l' infortunio con lo United, nel primo anno a LA volevo capire se avevo ancora lo stesso livello europeo. Nel secondo mi sono sentito come prima: o mi mettevo nuovi obiettivi o smettevo. Mino Raiola mi ha detto che smettere laggiù era troppo facile, io gli ho chiesto qual era la sfida più difficile e lui mi ha risposto il Milan».
Nelle vacanze di Natale ha portato i suoi due figli al Vismara, l' accademia del Milan: un indizio sul prossimo arrivo a Milano della sua famiglia?
«Vediamo, il mio contratto finisce tra 6 mesi. Tutto è possibile».
Anche che lei in futuro faccia l' allenatore o il dirigente?
«Se dico qualcosa oggi, poi devo mantenere la parola. Fare l' allenatore oggi è molto stressante, ma quando smetterò può darsi che la veda diversamente. Per ora sono troppo concentrato sul campo».
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Come valuta le rivoluzioni del calcio, il Var e la Superlega?
«La Superlega mi sembra una questione politica tra Fifa e Uefa, per fare vedere chi è più potente. Sul Var dico che gli errori fanno parte della vita, ma si sta andando nella direzione giusta, anche se le regole sul mani non si capivano bene e a Firenze mi hanno rubato il gol dell' anno. Comunque il Var rende più giusti anche i duelli coi difensori».
Chi l' ha fatta più dannare?
«Mi piace Chiellini, è un animale, ha una mentalità che ti motiva, non puoi mai essere sicuro di averlo superato. Mi piacciono i duelli leali, non sporchi, non per fare male.
Come quelli con Maldini, anche se lui dice che sono migliorato».
È vero o è cambiato il modo di giocare, ora quasi da basket, da un' area all' altra?
«Io credo che la differenza non la faccia più il fuoriclasse, ma il collettivo. È normale che io non sia più quello di 10 anni fa, però sto facendo cose utili alla squadra. Non perdi qualità a 30-35 anni, perdi a livello fisico. Poi dipende dalla testa, dal tuo realismo e da quanto ti alleni».
L' aneddoto sulla nuova playstation regalata ai suoi compagni?
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«Era un trucco. Ho detto solo dopo che era gratis, ma che per chi non si era messo in lista era tardi. Volevo capire meglio i miei compagni, ma adesso corrono di più per me ( ride) ».
Altro aneddoto, i guanti di Kalulu.
«Era all' esordio e faceva freddo, ma gli ho detto di toglierseli subito. Uno che debutta così giovane deve mettere paura agli avversari: la prima immagine è quella che conta».
Donnarumma debuttò a 16 anni e 8 mesi.
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«Che resti al Milan è molto importante. È il simbolo cresciuto all' Academy, è il più forte portiere del mondo, deve avere fame e continuare così. Quando vedo qualcosa di straordinario, lo dico. Certo, uno così deve giocare anche la Champions, non può non avere ancora una presenza lì».
Kulusevski ha detto che la nazionale svedese la aspetta: lei pensa a Europeo e Mondiale?
«Non è un segreto. Se uno sta bene, ci pensa. Vediamo. Dipende sempre da come stai. Io non entro in un gruppo, se non per dare qualcosa».
Al Milan è tornato dopo lo 0-5 di Bergamo: ora l' Atalanta è l' immagine dell' Italia in Champions.
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«La affronteremo all' ultima d' andata. Sta facendo cose top, grazie al collettivo. Quando avevo lasciato la Serie A, la gerarchia era diversa. Sono venuto qui per cambiare le cose e rimetterle a posto».
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