Estratto da ilnapolista.it
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Sofia Goggia parla con Marca. “Non solo lo sci, le medaglie, Vonn o Shiffrin – scrive il giornale spagnolo – Nel discorso finiscono Ettore e Achille, la guerra di Troia, i suoi libri, la sua libreria preferita a Bergamo, la realtà e i social o la battaglia in sospeso sui temi dell’uguaglianza”. Insomma, una “normale” intervista a Goggia.
“Pretendo tantissimo da me stessa. E’ la mia forza e allo stesso tempo la mia debolezza. Ho sempre basato tutto sulla potenza, sulla forza, sullo slancio, dando tutto alla ricerca dell’obiettivo. Non sono mai stata uno sciatrice eccezionale, ma ho lavorato molto in quella direzione. Non amo letteralmente il rischio, ma lo vivo. Perché non lo vedo come tale. Lavoro da molto tempo con uno specialista in gestione delle emozioni”.
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Goggia parla dei suoi innumerevoli infortuni. “Da un lato mi hanno reso più forte. Ma d’altro canto mi hanno indebolito. Non posso dire di essere una persona sana. Provo dolore ogni giorno, è qualcosa con cui convivo. So di avere una buona forma fisica, ma so anche di essere fragile”.
Ricorda l’argento ai Giochi di Pechino tre settimane dopo la rottura parziale del crociato: “Mi sono fatta il segno della croce saltando dal cancelletto. Ogni volta che vedo quella discesa mi sembra sempre più incredibile. Sono scesa con una gamba sola. Mi vedo e non so da dove ho preso la forza. Ma la testa è capace di realizzare cose che sembrano impossibili per il corpo.
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Quando mi hanno visto arrivare mi hanno chiesto se era una cosa dello sponsor, se ero lì solo per partecipare alla sfilata. La strada per Pechino è stata una follia tutta particolare. Ne vado molto orgogliosa. Sono stati giorni duri, ma molto arricchenti. Lavoro e lavoro, dalle sette di mattina alle 22 di sera. Non mi fermavo nemmeno per mangiare. Quando sono entrata in palestra e tutti se ne sono andati ho pianto per 20 minuti. Poi mi sono messa al lavoro. Adesso vedo la medaglia e penso di aver fatto una bella gara, di aver sofferto molto. Ma ne è valsa la pena”.
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Le chiedono anche della questione di genere. “In Italia si parla molto di patriarcato, di potere degli uomini sulle donne, che fa parte di una cultura medievale. Mi sento una donna indipendente che ha creato qualcosa per se stessa. Lavoro con gli uomini e non mi sento inferiore a nessun uomo. Ovviamente siamo diversi, con un sesso diverso e qualità diverse. Appartengo all’unico sistema meritocratico presente in Italia: lo sport. Il cronometro parte da zero per tutti e non si ferma per colpa di chi conosci, solo per la tua forza. In Italia si lavora più per conoscenze che per conoscenza. Dobbiamo promuovere un sistema più meritocratico. Questa è la direzione dell’uguaglianza: tu vali perché sei bravo e competente, non mi interessa il sesso”.
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