1 - BOB MARLEY
Carlo Massarini per “la Stampa”
BOB MARLEY IN ITALIA
Bob Marley nell'estate del 1980 è la più grande rockstar planetaria. Sono lontani gli anni da rude boy nel ghetto di Kingston, i primi tentativi a 45 giri con Bunny Wailer e Peter Tosh (i tre Wailers originali) e quell'incontro da sliding doors con Chris Blackwell, il geniale patron della più importante etichetta indipendente inglese, la Island.
In mezzo a un tour inglese abortito, disperati e senza i soldi per tornare in Jamaica, si erano presentati nel suo ufficio promettendo in cambio dei biglietti il master di un Lp. Blackwell si era fidato e pochi mesi dopo quell'album, Catch A Fire, gli era arrivato davvero. Blackwell, che ben conosceva la scena jamaicana , aveva capito che per fare di Marley una star non bastavano i dischi, né la radio: Marley andava visto, di persona.
BOB MARLEY IN ITALIA
Bob aveva passato gli anni successivi a fare proprio quello: prima in Inghilterra, poi in Europa e infine nella sterminata America, il pubblico bianco aveva scoperto quel suono dolce e ipnotico, dondolante e tropicale, capace di mandare il corpo in trance mentre i testi parlavano di babylon system -la civiltà corrotta e oppressiva - e di rivoluzione della mente. Marley dal vivo era uno sciamano che officiava un rito che sapeva di radici ancestrali, di trance, di trascendenza.
A poco a poco, la stranezza si era trasformata in un trionfo. Come un pifferaio magico, Bob con la gioiosa macchina da ritmo degli inarrestabili Wailers e delle tre coriste, le I-Threes, aveva conquistato cuori e coscienze in ogni continente. In Jamaica era ormai un eroe nazionale, la sua missione di unire lotta sociale e spiritualità, di innalzare il livello di coscienza dei suoi compatrioti e di chiunque nel mondo avesse a cuore giustizia e diritti, era stata raggiunta.
BOB MARLEY IN ITALIA
I suoi otto album sono capolavori densi di significato, allo stesso tempo gioiosi e ballabili ma anche duri e militanti: Exodus è considerato da Time Magazine «l'album del secolo». Lui, nato meticcio da papà inglese e una ragazzina nera, aveva nel suo destino il ponte fra due mondi . Gli anni 70 sono la decade del reggae, e Bob ne è l'icona. In Italia erano anni difficili. Per la musica e non solo.
L'arrivo delle radio private aveva amplificato la forza dell'onnicomprensivo «rock», dal nulla si era creato un pubblico, e un mercato. Ma i concerti erano funestati dagli scontri fra autonomi («La musica è nostra e non si paga») e polizia, e le BR avevano creato un clima nazionale sempre più cupo. Dal '76 al 1980 i concerti stranieri erano stati pressoché azzerati. Non eravamo più sulla mappa dei promoter internazionali. Chi voleva sentire musica live doveva andare in Svizzera o in Europa.
il concerto di bob marley a milano 7
Dalla e De Gregori avevano rotto il ghiaccio con il Banana Republic tour del '79, ma la situazione era ancora precaria. Mancava un segnale forte. Simbolico. Il 27 giugno è una giornata di pieno sole, a Milano. L'attesa è altissima. San Siro si riempie già dal pomeriggio, quando Pino Daniele - fra gli altri gruppi di supporto - fa conoscenza per la prima volta con un pubblico a perdita d'occhio.
il concerto di bob marley a milano
Nel backstage tutta la scena milanese, sul prato e tribune quasi centomila persone totalmente trasversali: freakkettoni e manager, studenti e genitori, gente che non si era mai fatta una canna ed enormi nuvole di ganja che fluttuano nell'aria. Il clima è incandescente, la canzone che mi rimane impressa è la sua messa in musica del discorso di Hailè Selassiè, Ras Tafari, all'Onu nel 1963: «Finché la filosofia che ritiene una razza superiore e un'altra inferiore non sarà screditata e abbandonata Finché ci saranno cittadini di prima e seconda classeci sarà guerra».
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E' il brano-simbolo del Marley militante, la potrebbero scandire adesso nelle strade d'America i Black Lives Matter, cos' è cambiato in 40 anni? Milano in quegli anni è tosta, politicizzata, quell'inno di denuncia si intona con la durezza della piazza. Il Comunale di Torino, il giorno dopo, lo ricordo in tutt' altra maniera. E' una serata perfetta, le «rastaman vibrations, yeah» riempiono l'aria, la pista d'atletica del glorioso Comunale è in tartan, sembra fatta apposta per quel ritmo da seguire molleggiandosi sulle ginocchia. Il fuoco di Milano non c'è più, è tutto morbido, la canzone-simbolo non ha più l'odore acre della guerra, ma la dolcezza della pace, prima di tutto con se stessi.
BOB MARLEY IN ITALIA
E' appena stata pubblicata su Uprising , e Redemption Song racchiude tutta la sua carriera, la sua missione: «Emancipatevi dalla schiavitù mentale, solo noi stessi possiamo liberare le nostre menti Aiutatemi a cantare queste canzoni di libertà, perché tutto quello che ho sono queste canzoni di redenzione». Quello che né Bob né noi sappiamo, mentre scuote la criniera leonina, è che sarà davvero l'ultima canzone di un ciclo meraviglioso e irripetibile: Bob ha già un piede in Paradiso, neanche un anno dopo chiuderà gli occhi per sempre.
Qualche anno dopo, tornerò a Kingston, a visitare quella casa al 56 di Hope Road nel cui piazzale Bob giocava sempre a pallone con la sua posse e dove era sfuggito miracolosamente a un attentato nel '76. All'interno, stanze tappezzate dai ritagli di giornale che avevano sottolineato il suo viaggio.
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Al centro di una parete, le prime pagine dei giornali italiani di quel giugno 1980. Il calcio era la sua grande passione, aver suonato in due stadi fra i più famosi nel mondo un motivo di grande orgoglio. Non era stata una serata speciale solo per noi, ma anche per il più grande di tutti, il piccolo grande sciamano che in due notti d'estate aveva aperto una nuova era in un paese lontano.
2 - E LA MUSICA RITROVÒ FINALMENTE SE STESSA
Marinella Venegoni per “la Stampa”
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Soltanto l'anno prima, il successo del tour «Banana Republic» di Lucio Dalla e Francesco De Gregori, aveva mostrato ai «padroni della musica» italiani (così erano chiamati i promoter negli anni di piombo) che la lunga stagione dei processi pubblici agli artisti (della quale De Gregori fu la vittima più illustre) era conclusa, e non veniva nemmeno più contestato il principio che pagare per un concerto fosse normale.
il concerto di bob marley a milano
La doppia serata di Bob Marley a Milano e Torino fu la scelta perfetta per testare una enorme folla di appassionati di musica alternativa, e le loro reazioni, sulla porta degli Anni 80. Il materiale fotografico e quel poco di filmati tramandati mostrano allo Stadio Comunale un'atmosfera ancora tipicamente Anni 70, riccioloni, bandane, gonnelloni e nel calore qualche nudità non maliziosa come sarebbe stato nel futuro; si registreranno dei falò e sarà danneggiata la pista di atletica.
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Ero al mio primo concerto internazionale in uno stadio, e ancora non mi occupavo di musica, ma dalla mia postazione di fan - a sinistra e quasi sotto palco - ricordo bene i bagliori che un po' impensierivano; ma l'eccitazione era tutta per quella formidabile maschera che avanzava davanti al microfono, subito dondolando, con i lunghissimi dreadlocks che danzavano intorno al viso emaciato di una star dei poveri. Dimostrava molto più dei suoi 35 anni.
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Bob Marley era già malato, e noi tutti lo si sapeva, sotto il palco. Ma appariva indomito, nella sua evidente fragilità, mosso da una forza interna che nel corso della serata gli avrebbe regalato energie che mi parevano inesauribili. Il profumo di ganja si sentiva nell'aria ed era forse l'ingrediente più spiccio dell'appeal di una stravagante star che niente aveva a che fare con lo star system. Il suo carisma, palpabile, sarebbe cresciuto dopo la sua morte nel 1981, amplificando l'eco della sue canzoni in un'epoca che gli sarebbe somigliata sempre di meno.
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