Fabio Albanese per www.lastampa.it
PIETRO PUGLISI
Il boss comandava dal carcere. L’ergastolano Pietro Puglisi, genero del potente capomafia Giuseppe Pulvirenti “u malpassotu” morto qualche anno fa, prima di finire al carcere duro per i mafiosi del 41bis, dalla sua cella continuava a dirigere gli affari del clan - affiliato alla famiglia catanese di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano - grazie ai due figli Salvatore e Giuseppe che portavano gli ordini agli affiliati, anche con la complicità dei fratelli Bonanno, uno dei quali, Salvatore, per un periodo è stato anche il reggente della cosca.
VENTI IN MANETTE
Sia i Puglisi sia i Bonanno sono ora nell’elenco di venti persone per le quali il gip di Catania, su richiesta della Direzione antimafia della procura, ha firmato un’ordinanza di custodia in carcere eseguita oggi dai carabinieri di Catania. Le accuse vanno dall’associazione mafiosa alle estorsioni, dallo spaccio di droga alla ricettazione. Per diciotto delle venti persone coinvolte in questa inchiesta è stata prevista la detenzione, solo per due sono stati disposti gli arresti domiciliari.
Giuseppe Pulvirenti
GLI IMPRENDITORI MINACCIATI
L’indagine “fotografa” un periodo che va dal 2017 al 2018 e nasce da un episodio di estorsione denunciato dai titolari di una impresa edile che portarono ai carabinieri un “pizzino” trovato in un cantiere, con una richiesta di denaro pena la distruzione dello stesso cantiere. I carabinieri di Gravina di Catania avviarono così complesse indagini che hanno portato agli arresti di oggi. Prima però è stato necessario convincere le vittime delle estorsioni a collaborare. Alcune, dopo le insistenze degli investigatori, hanno collaborato, altre hanno negato perfino l’evidenza e sono state denunciate di favoreggiamento per avere dichiarato il falso.
Giuseppe Pulvirenti
ESTORSIONI E OMICIDI
Quindici gli episodi di estorsione accertati. Il gruppo, che controllava la zona di Mascalucia, paese dell’hinterland etneo alle porte di Catania, aveva esteso la sua attività anche in altre aree della provincia. Già due anni fa, sette esponenti del gruppo mafioso erano finiti in galera perché gli investigatori avevano accertato che era pronto un piano per uccidere un uomo della cosca con cui erano sorti contrasti per una estorsione.