Tommaso Ciriaco per repubblica.it - Estratti
antonio tajani matteo salvini giorgia meloni
Non è la prima volta, ma per Giorgia Meloni quest’ultima battaglia è diversa. Più allarmante del passato. La resistenza di Antonio Tajani sul canone è strenua, apparentemente incrollabile.
E siccome il rapporto tra la presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri è ottimo fin dall’inizio dell’esperienza di governo, qualcosa non torna. O meglio, è il solito spettro che agita ciclicamente Palazzo Chigi: la famiglia Berlusconi.
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Raccontano fonti del cerchio magico di Fratelli d’Italia che da un paio di giorni le sorelle Meloni sono tornate a lamentarsi con insistenza degli eredi del Cavaliere. Perché intravedono dietro al conflitto sul canone – e allo smarcamento azzurro sul dossier Unicredit – il profilo ingombrante della dinastia di Arcore. Rispetto al passato, però, la lettura è più complessa. La presidente del Consiglio, secondo le stesse fonti, non ritiene le tensioni delle ultime ore figlie di un “ordine” diretto dei Berlusconi. Sarebbe piuttosto Tajani ad essere costretto per ragioni politiche e di tenuta interna ad interpretare la sensibilità del “partito azienda”.
meloni salvini tajani
In altri termini, il leader di Forza Italia - che anche in passato ha mostrato di muoversi con un margine di autonomia - sarebbe tornato alla carica, anche per anticipare pericolosi scavalcamenti della “famiglia”. Con l’obiettivo di provare a bloccare una misura che potrebbe avere effetti diretti e indiretti nefasti su Mediaset.
Quelli diretti riguarderebbero l’eventuale modifica dei tetti pubblicitari a favore della Rai e a danno di Mediaset, in modo da compensare la riduzione degli introiti di viale Mazzini: perché questo avvenga, però, servirebbe una modifica della “legge Gasparri”. Un intervento politicamente delicato, va detto. Anche solo l’ipotesi basterebbe a mettere pressione sull’azienda fondata dal Cavaliere.
pier silvio marina berlusconi
L’effetto indiretto riguarda invece l’eventualità che si inneschi una concorrenza al ribasso sui prezzi di vendita della pubblicità da parte della Rai, con ricadute altrettanto negative sul Biscione. È quello che sarebbe già accaduto nel corso del 2024, riferiscono fonti vicine alla premier, a causa del taglio del canone deciso nell’ultima legge di bilancio.
Certo è che per molte ore Tajani mostra di resistere ai tentativi di mediazione di Palazzo Chigi. Con Meloni, a sua volta, obbligata a gestire una sfida tra i suoi due vicepremier. Se l’azzurro sgomita, anche Matteo Salvini pare intenzionato a rilanciare. Preme sulla presidente del Consiglio, insiste. E la costringe a cambiare linea nel corso di un pomeriggio. In un primo momento, infatti, la leader offre una sponda a Tajani. Ma quando il ministro degli Esteri rifiuta l’ultimo compromesso dell’instancabile mediatore Luca Ciriani (un fondo congelato destinato a coprire in seguito l’eventuale taglio del canone), allora si schiera con la Lega: non intende infatti regalare al Carroccio la bandiera di questa mini sforbiciata fiscale.
antonio tajani giorgia meloni matteo salvini
E d’altra parte, non c’è soltanto il ruolo della famiglia Berlusconi e la disfida per l’imposta sulla tv ad alimentare i sospetti della premier nei confronti di Forza Italia. Pesa in queste ore la convinzione che Tajani si muova con questa decisione perché ormai determinato ad aprire la partita del rimpasto, con l’obiettivo di affermare il sorpasso del suo partito ai danni della Lega. Strappando innanzitutto il ministero per gli Affari europei lasciato vacante da Raffaele Fitto, entrato a far parte della nuova commissione di Ursula von der Leyen.
L’ipotesi che venga affidato al meloniano Edmondo Cirielli è sgradita agli azzurri. In realtà, pare che le mire dei berlusconiani siano ancora più ambiziose: dovesse saltare la poltrona di ministro di Daniela Santanchè, FI potrebbe chiedere un restyling complessivo dell’esecutivo. Se dovesse innescarsi una girandola di poltrone, punterebbe a un ministero di prima fascia: la Giustizia, gli Interni o il Made in Italy e imprese.
silvio berlusconi con marina e pier silvio
SUL CANONE RAI LA MAGGIORANZA VA IN FRANTUMI
Giuseppe Colombo per repubblica.it - Estratti
Via il taglio del canone Rai dal decreto fiscale o votiamo contro. L’aut-aut di Forza Italia irrompe al Senato alle undici del mattino, quando la seduta della commissione Bilancio si riaggiorna nel tentativo di votare gli emendamenti al provvedimento che accompagna la manovra. Il convitato di pietra è proprio la proposta della Lega che chiede di prorogare, anche nel 2025, il taglio del contributo in bolletta per la tv pubblica, da 90 a 70 euro. Ma l’avviso confezionato dal leader degli azzurri, Antonio Tajani, non è rivolto solo a Matteo Salvini. È anche un messaggio indirizzato a Giorgia Meloni, che intanto si avvicina alla posizione del suo vicepremier leghista.
antonio tajani giorgia meloni matteo salvini
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Ma di fronte al rischio di un incidente parlamentare, si muove Palazzo Chigi. L’indicazione data al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, è prendere tempo. Alle due del pomeriggio, dopo un nuovo rinvio al Senato, la premier fa di più. Tira fuori la carta della mediazione. L’idea è spostare la questione del canone dal decreto fiscale, sganciandolo così dallo stallo, a un fondo da utilizzare successivamente proprio per finanziare la misura cara a Salvini.
giorgia meloni antonio tajani matteo salvini
Nel frattempo, è il ragionamento, Forza Italia verrebbe in qualche modo accontentata con la manovra. Gli azzurri non ci stanno e propongono di rinviare il tema alla discussione sulla legge di bilancio. Anche la Lega frena perché le coperture dell’emendamento fanno riferimento al 2024: spostare tutto sulla manovra implicherebbe trovare 430 milioni (i soldi per risarcire Viale Mazzini dal taglio del canone) nel bilancio dell’anno prossimo, che già fa fatica a mettere a disposizione 120 milioni per tutte le modifiche alla manovra.
silvio piersilvio e marina berlusconi
Tocca a Ciriani fare avanti e indietro tra Palazzo Chigi e Palazzo Madama in cerca di una soluzione. «Vediamo in serata», è l’auspicio dopo l’ennesimo aggiornamento della seduta della Commissione, alle 20. A sera, il ministro riunisce i capigruppo della maggioranza, ma l’intesa non matura. «Non indietreggiamo», ribadisce Damiani. L’ultimo tentativo è affidato all’ufficio di presidenza della commissione. Le opposizioni premono per iniziare il voto dall’emendamento sul canone che si aggancia all’articolo 1 del decreto. All’indomani, recita l’indicazione della premier. Si riparte stamattina alle 9. Nuovo round della sfida dentro la maggioranza sul canone della discordia.
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