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    IL CASO DEI DUE MARÒ DIMOSTRA CHE I CONTENZIOSI INTERNAZIONALI SI RISOLVONO LASCIANDOLI A MOLLO PER ANNI (ANDRÀ COSÌ ANCHE PER IL CASO REGENI?) - L'INDIA DEVE CESSARE OGNI PROCEDIMENTO CONTRO LATORRE E GIRONE MENTRE LA PROCURA DI ROMA DOVRÀ ISTRUIRE IL CASO. E SE SI DOVESSE ARRIVARE AL PROCESSO, È PROBABILE CHE SI APRIREBBE UN ALTRO PSICODRAMMA TRA CHI È CONTRO E CHI A FAVORE…


     
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    Danilo Taino per il “Corriere della Sera”

     

    latorre girone latorre girone

    Il processo a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i marò accusati di avere ucciso due pescatori indiani nel 2012 durante una missione antipirateria, si terrà, se ci si arriverà, in Italia. Ieri, la Corte Permanente di Arbitrato dell'Aia, alla quale Roma e Delhi erano ricorse, ha affermato che la giurisdizione del caso è italiana. La procura romana ora dovrà condurre le indagini sull'incidente, chiedere il materiale raccolto negli anni dai magistrati indiani, sentire testimoni e decidere se i due militari italiani vanno rinviati a giudizio.

     

    La sentenza di ieri accoglie pienamente le posizioni italiane - cioè che Latorre e Girone nel momento dell'incidente erano funzionari dello Stato in missione, godevano dell'immunità funzionale e quindi sono da giudicare in Italia. Con però una piccola ombra che solleva perplessità ma può essere spiegata. Il caso nasce il 15 febbraio 2012, quando due pescatori indiani - Aieesh Pink, 25 anni, e Valentine Jalastine, 45 - furono uccisi nelle acque indiane al largo dello Stato del Kerala.

    GIRONE LATORRE GIRONE LATORRE

     

    La polizia locale accusò i fucilieri di marina che erano in missione antipirateria sulla nave Enrica Lexie di avere sparato i colpi mortali e arrestarono Latorre e Girone. Da allora si è aperto un contenzioso tra Roma e Delhi che inizialmente ha visto montare lo scontro tra i due governi, con accuse reciproche.

     

    Solo quando la Farnesina - ministre prima Emma Bonino poi Federica Mogherini - decise di ricorrere al Diritto internazionale, in particolare al Tribunale del Mare, la disputa politica - che per anni ha rallentato i rapporti diplomatici ed economici tra Italia e India - è andata via via scemando. Ieri, la sentenza dell'Aja ha mostrato che era la strada giusta da percorrere: un caso di scuola di come le differenze politiche possono essere placate dal diritto.

     

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    Gli arbitri hanno deciso che la giurisdizione spetta all'Italia con una maggioranza ristretta, tre a due. A sostegno delle posizioni di Roma hanno votato i giudici italiano (di parte), russo e sudcoreano, questi ultimi due rispettivamente ex presidente e presidente in carica del Tribunale Internazionale del Mare. Contro hanno votato il giudice indiano (di parte) e quello giamaicano. Curiosamente, però, il collegio arbitrale non si è limitato esprimere un giudizio su ciò per il quale era stato costituito, cioè immunità dei marò e giurisdizione.

     

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    Si è spinto oltre e ha unanimemente stabilito che Roma deve compensare i danni morali e materiali legati all'episodio del 2012 e la perdita di vite umane in quanto nella circostanza l'Italia ha violato la libertà di navigazione garantita dalla Convenzione Onu sul Diritto del Mare (la Farnesina ha dichiarato che l'Italia è pronta ad adempiere). Come se gli arbitri sapessero cosa successe quel giorno del 2012 prima che un processo sia svolto.

     

    Si può immaginare che i giudici abbiano voluto ragionare sullo scenario peggiore che potrebbe risultare dal processo ai due marò, che cioè essi siano colpevoli. E, su questa base, abbiano deciso di fornire garanzie all'India. La cosa certa è che gli arbitri dell'Aja non hanno condotto in proprio alcuna investigazione sul caso: non erano competenti a esprimere un giudizio di merito sui fatti del 2012.

     

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    Giudizio che in effetti non hanno emesso. Dal punto di vista giuridico, dunque, questa parte della sentenza non avrà conseguenze. Su quello politico non è detto. Ora, l'India deve cessare ogni procedimento contro Latorre e Girone. La Procura di Roma dovrà invece istruire il caso. È un nuovo capitolo che si apre ma di certo non la conclusione della vicenda. Se si dovesse arrivare, come è possibile, al processo, è probabile che si aprirebbe la polemica politica tra chi difende a priori i due marò e chi li condanna con lo stesso metro. Vedremo se anche ricorrere al diritto italiano servirà placare gli animi, come è successo con il diritto internazionale.

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