Monica Ricci Sargentini per il “Corriere della Sera”
HASSAN CASO ILARIA ALPI
Una bomba sotto l'automobile. È morto così nella sua amata Mogadiscio, in Somalia, Hashi Omar Hassan, l'uomo che era stato condannato per l'omicidio della giornalista Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin e che nel 2016, dopo quasi 17 anni di carcere, era stato finalmente riconosciuto innocente. Una vita, la sua, segnata dalla sfortuna perché la morte lo coglie proprio ora che si era ricostruito una vita e stava per lanciare un'attività import-export nel suo Paese grazie ai tre milioni di euro riscossi dall'Italia come risarcimento per l'errore giudiziario.
«Tre milioni - aveva detto nel 2018 in un'intervista al Corriere della Sera - sono niente rispetto all'inferno che ho vissuto. Diciassette anni della mia vita valgono molto di più e tutto quel tempo non mi verrà mai restituito». Probabilmente sono stati proprio quei soldi la causa della sua morte. È la tesi di Antonio Morriconi, l'avvocato storico di Hassan: «Sono stati i terroristi islamici, nessun dubbio.
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Lo hanno ammazzato a scopo di estorsione. Sono persone in cerca di soldi per fare gli attentati e se non sei d'accordo ti uccidono». L'omicidio è avvenuto nel quartiere di Dharkenley, nella zona meridionale della capitale somala.
Finora non c'è stata alcuna rivendicazione ma il modus operandi sarebbe quello dei militanti al Shabab.
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Una tesi che, però, non convince la Federazione nazionale della stampa italiana, l'Ordine dei Giornalisti e l'Usigrai che, tramite l'avvocato Giulio Vasaturo, sono pronti a presentare una richiesta alla Procura di Roma, all'ambasciata italiana a Mogadiscio ed a quella della Somalia in Italia, «per sollecitare indagini mirate sulle dinamiche dell'attentato in cui ha perso la vita Hashi Omar Hassan, anche al fine di verificare l'esistenza di un eventuale collegamento fra questo efferato delitto e l'inchiesta, tuttora in corso, sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin». Poco dopo aver testimoniato in Italia, fu rinvenuto in un albergo di Mogadiscio il cadavere di Ali Abdi, l'autista di Ilaria. Mentre nel 2003 Starlin Arush, attivista somala, amica dell'inviata del Tg3 , è stata uccisa da un commando di sicari, nei pressi di Nairobi.
Hassan era stato arrestato nel 1998 durante un soggiorno in Italia, dove doveva deporre su altre vicende somale.
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Ad accusarlo furono due persone: Ahmed Ali Rage, detto Gelle, che si spacciò per testimone oculare del delitto Alpi-Hrovatin e che disse di averlo visto alla guida della Land Rover del commando di assassini; e l'autista occasionale di Ilaria Alpi, Ali Abdi, morto poco dopo il suo rientro in Somalia, nel 2003, dopo aver perso la protezione una volta accertato che la sua testimonianza era falsa. Gelle, invece, in una deposizione resa per rogatoria acquisita dalla Corte d'Appello di Perugia per la revisione del processo, aveva ritrattato le sue accuse affermando di essere stato pagato per affermare il falso.
L'assoluzione definitiva giunse dopo altri tre processi: quello di primo grado presso la Corte d'Assise di Roma che nel 1999 giudicò Hassan innocente, l'Appello del 2000 che stabilì l'ergastolo per «concorso in omicidio» e la riduzione della condanna a 26 anni in Cassazione nel 2001.
I genitori di Ilaria Alpi erano convinti dell'innocenza di Hassan: «La famiglia di Ilaria mi ha creduto e ha fatto quello che poteva per cercare la verità, sapevano che ero solo un capro espiatorio» aveva raccontato l'uomo. Ma la coppia non aveva mai smesso di cercare i veri autori della strage e i loro mandanti. Giorgio Alpi è morto nel 2010 dopo una lunga malattia, la moglie Luciana ci ha lasciato nel 2018 ma l'inchiesta della Procura di Roma sull'omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin è ancora aperta.
MILA HROVATIN UCCISO
Tra il 2018 e il 2019 il gip Andrea Fanelli ha bocciato ben due richieste di archiviazione, avanzate dalla pm Elisabetta Ceniccola, sollecitando ulteriori accertamenti. Tra questi c'è anche l'acquisizione di atti relativi alle indagini sulla morte del giornalista Mauro Rostagno, ucciso dalla mafia nel 1988. Il gip ha «invitato» i pm romani a verificare l'eventuale esistenza di punti di contatto con il caso Alpi, con un «focus» particolare sul traffico d'armi. La verità, però, appare lontana.
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