Marco Giusti per Dagospia
CATE BLANCHETT MATRIGNA DI CENERENTOLA CON LE SORELLASTRE
Cenerentola di Kenneth Branagh.
“I sogni son desideri…” Ci siamo. Preparatevi al Bibbidi-Bobbidi-Bù, alle zucche che diventano carrozze, le lucertole paggetti, l’oca, il cocchiere, la fata madrina, la matrigna terribile, la povera orfanella bionda costretta a far da cameriera alle sorellastre antipatiche Genoveffa e Anastasia, il bel principe che la conquisterà, i topini Gas e Jaq, il ballo, alla mezzanotte che scocca. C’è tutto, perfino le scarpette di cristallo, anche se marchiate Swarovski per doveri di sponsor.
cenerentola film di kenneth branagh
Ci chiediamo se ne avevamo davvero bisogno di un remake dal vero, diretto da Kenneth Branagh con gran divertimento, della Cenerentola animata di Walt Disney, capolavoro riconosciuto da ogni storico di cinema, che segnò il ritorno all’animazione classica e al successo della Disney nel 1950 dopo il cupissimo periodo della guerra.
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Probabilmente sì, perché il successo di riletture dal vero di classici animati come l’Alice nel paese delle meraviglie in 3D di Tim Burton, o Maleficent, o il trionfo di un cartoon molto classico come Frozen dimostrano che puntare alla fiaba ultraconvenzionale funziona in ogni parte del mondo.
Come se in anni così frenetici e schizofrenici avessimo bisogno al cinema della leggerezza della fiaba disneyana. E non c’è davvero nulla di più perfetto, da questo punto di vista, della Cenerentola di Charles Perrault, cioè la fiaba più famosa di ogni tempo, rivista da Disney. Al punto che il progetto nasce proprio dopo il successo di Alice di Tim Burton, pensando però a una lettura più moderna della fiaba, affidata come sceneggiatura a Aline Brosh McKenna (Il diavolo veste Prada) e alla regia di Mark Romanek (One Our Photo).
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Ma alla Disney il progetto di Romanek deve essere sembrato troppo dark, così si è preferito passarlo a un regista più impegnativo come Kenneth Branagh, ma che dopo aver diretto Thor si è dimostrato in grado di capire i gusti di un pubblico molto vasto e popolare.
Branagh, assieme a un nuovo sceneggiatore, il Chris Weitz di American Pie e La bussola d’oro, prende di peso la Cenerentola disneyana e la traduce in salsa inglese per americani, un miscuglio della sua versione di Hamlet e del mondo di Downtown Abbey. Lo aiutano in questo le preziose scenografie di Dante Ferretti e i costumi di Sandy Powell, collaboratori di gran parte degl ultimi film di Martin Scorsese, che si inventano per il film “un ’800 inglese come lo avrebbero girato a Hollywood negli anni ’40 o ’50” (Powell).
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Ma lo aiuta anche un cast magistrale che Branagh riesce a far funzionare alla perfezione. A cominciare dalla sua Ella/Cenerentola, l’incantevole Lily James di Downtown Abbey, che riesce a catturare tutta la grazia virginale della protagonista della fiaba e del personaggio del cartoon, era animata da Marc Davis, anche se Branagh ne fa un’eroina morigerata inglese e non una francesina sbarazzina alla Léa Seydoux. Il principe Kit è invece Richard Madden, già Robb Stark di Trono di spade, decisamente meno anonimo e più combattivo del principe disneyano, mentre la divina Cate Blanchett, fresca di Oscar, è la cattivissima Lady Tremayne, una matrigna che si sente più vicina a Joan Crawford in un film di Michael Curtiz che in un film del 2015.
Guardatela quando arriva vestita da vedova a casa di Cenerentola, o nel finale quando prende coscienza della propria sconfitta e scende le scale come Gene Tierney in Femmina folle. Branagh però non ne fa una protagonista forte sul modello della Angelina Jolie di Maleficent, punta tutto sul candore inglese di Lily James, che Cate Blanchett non riesce a capire del tutto, anche se quando, alla fine di tutto, Cenerentola le dirà “Ti perdono” abbandonandola al suo destino, sentiamo davvero scorrere una sana perfidia.
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Il film, su questo, non è ovvio per nulla. Bella idea anche quella di una star shakesperiana come Derek Jacoby come padre del bel principe, per non parlare del grande Stellan Skarsgard, protagonista dei film di Lars Von Trier, nel ruolo del Granduca, poi una bella coppia di sorellastre, Holiday Grainger e Sophie McShera, e infine Helena Bonham Carter, già seconda moglie di Branagh e terza moglie di Tim Burton, come Fata Madrina e narratrice della storia. Da vecchio volpe teatrale Branagh indirizza il suo cast prestigioso verso una rilettura divertita e molto inglese della Cenerentola di Disney, coinvolgendo in questo i topini digitalizzati che non parlano, il gattone Lucifero e tutto il repertorio ultraclassico.
Ma la sua è una versione anti-Tim Burton o pre-Tim Burton delle riletture disneyane e si discosta del tutto dal Perrault fracassone di Maleficent. Non potendo giocare su stravaganze burtoniane, che non gli appartengono e che dimostrano, spesso, la mediocrità o la scarsa originalità di molti registi di fantasy attuale, Branagh gioca le sue carte di grande illustratore teatrale e direttore d’attori e lì vince.
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Perché, pur non potendo contare sulla forza dell’animazione, i topini animati da Ward Kimball erano parte importante del successo del film del 1950, né sulle canzoni del film, che qui ascoltiamo solo sui titoli di coda e lasciano incantati gli spettatori più vecchi che ne conoscono le parole a memoria, sviluppa proprio il cuore della storia come scontro tra femmine per il dominio dell’universo maschile. Prima il cuore e la casa del padre.
Poi il cuore e il palazzo del principe. Non capiamo mai le origini della cattiveria di Lady Tremayne, sappiamo magari che l’odio per Cenerentola nasce dal fatto che è giovane e bella e così perfetta e gentile con tutti. Branagh e Cate Blanchett la costruiscono con grande intelligenza non come un vilain disneyano classico, cioè una strega, ma come una femmina folle della Hollywood degli anni ’40.
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Anche se i suoi abiti verdi ne fanno una specie di insetto gigante, i suoi movimenti e i suoi sgaurdi sembrano modellati su quelli di Vivien Leigh o Joan Crawford o delle grandi attrici americane del passato. Non a caso, assieme a Stellan Skarsgard, è l’unica non inglese del cast e da subito capiamo che si sente non accettata, non omologata alle scenografie in cui si muove. E ripete anche troppo che la casa va risistemata.
Inutile dire che è un film di grande divertimento e ben più interessante di quanto potrebbe apparrirci a una visione distratta. Notevole è anche il cortometraggio animato Frozen Fever, diretto da Chris Buck e Jennifer Lee, con i personaggi di Frozen, le due ragazze, Kristof e il pupazzo di neve Olaf, che farà impazzire le bambine. In sala dal 12 marzo.